Unione solidaleL’Ue apre le porte ai profughi ucraini

Già 300mila persone sono fuggite nei Paesi europei. La Commissione vuole concedere a tutti gli esuli protezione temporanea, prepara aiuti umanitari agli Stati confinanti e una piattaforma per la gestione della crisi. Se la situazione dovesse peggiorare ancora, potrebbe esserci un esodo di 4 milioni di persone

AP/Lapresse

«Mia mamma sta attraversando la frontiera con la Polonia. Raggiunge mio figlio, che vive lì, e poi verrà da me», racconta una cittadina ucraina residente in Lombardia. È una delle tante storie di fuga verso l’Europa dall’Ucraina: con il Paese assediato dall’invasione russa, già 300mila persone sono emigrate nei territori dell’Unione, secondo le ultime stime fornite dalla Commissione europea.

Un numero molto alto dopo cinque giorni di guerra, che potrebbe crescere a dismisura: l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha ipotizzato un esodo di quattro milioni di ucraini, se la situazione dovesse peggiorare ancora.

Porte aperte nell’Unione europea
Di fronte alla crisi umanitaria in atto ai suoi confini, l’Unione europea sembra pronta a dare una risposta comune. I ministri dell’Interno dei 27 Paesi, riuniti nel pomeriggio di domenica 27 febbraio a Bruxelles, hanno concordato una serie di misure straordinarie.

La prima prevede uno stanziamento a favore degli Stati europei limitrofi: Polonia, Ungheria, Slovacchia e Romania, verso cui sono diretti i flussi di profughi. Se ne avranno bisogno, i rispettivi governi possono avanzare richieste specifiche. «Sono molto orgogliosa del modo impressionante in cui cittadini e Paesi europei stanno esprimendo solidarietà», ha detto la commissaria europea agli Affari interni Ylva Johansson, commentando il supporto fornito da associazioni di volontari e persone comuni lungo i confini.

Somme destinate a coprire aiuti umanitari verranno versate anche all’Ucraina stessa per gli sfollati interni (che potranno raggiungere i 7 milioni) e alla Moldova, che secondo fonti governative ha ricevuto oltre 16mila persone dall’inizio dell’invasione, anche se molte di loro puntano comunque a raggiungere l’Ue. l’Unione e i suoi Paesi finanzieranno pure un’iniziativa dell’Onu con un esborso da 90 milioni di euro, ha spiegato il commissario europeo alla Gestione delle crisi Janez Lenarčič.

Accanto ai contributi economici c’è l’istituzione di una «piattaforma di solidarietà» europea, per coordinare le operazioni in collaborazione con le agenzie comunitarie, l’Agenzia europea per l’asilo e Frontex, che si occuperà di tutti gli aspetti della crisi umanitaria.

Il momento della protezione temporanea
L’elemento più significativo della risposta europea è però la volontà di attivare la procedura della Direttiva 2001/55, che concederebbe a tutti i cittadini ucraini un diritto di «protezione temporanea»: sarebbe la prima volta nella storia dell’Unione europea.

I cittadini ucraini possono accedere ai Paesi dell’Ue senza bisogno di visto, ma solo per periodi di soggiorno inferiori ai 90 giorni. Terminati questi tre mesi, dovrebbero fare ritorno nel proprio Paese, oppure presentare una richiesta di asilo o per un permesso di soggiorno.

Il meccanismo previsto nella Direttiva, invece, obbliga gli Stati europei ad affrontare collettivamente una situazione emergenziale provocata da un «afflusso massiccio di sfollati» in maniera imprevista, da una determinata area geografica del mondo, che non possono essere riportate nel Paese di provenienza.

Secondo le disposizioni della direttiva, per un periodo di un anno, prorogabile di sei mesi per al massimo due volte, i Paesi dell’Unione devono concedere un titolo di soggiorno indistintamente a tutti i profughi provenienti da quell’area. Una dinamica diversa rispetto alla concessione del diritto d’asilo, che viene assegnato sulla base di valutazioni personali sull’individuo che lo richiede.

Ogni Paese europeo è tenuto quindi a indicare una propria «capacità d’accoglienza» e in base a essa riceve un numero prestabilito di persone, previo consenso dei diretti interessati. Gli stranieri accolti possono studiare e lavorare, ricevono assistenza sanitaria e, se necessario, un alloggio da parte dello Stato di soggiorno. Chi gode di questa protezione può comunque pure chiedere asilo al Paese che lo ospita, anche se l’articolo 19 della direttiva concede agli Stati la possibilità di rendere incompatibili lo status di richiedente asilo e quello di beneficiario di «protezione temporanea».

Si tratta di uno strumento pensato appositamente per accogliere in tempi brevi molte persone in fuga: le istituzioni comunitarie lo hanno infatti concordato nel luglio 2001, in concomitanza con le guerre nell’ex-Jugoslavia. Ma non è mai stato utilizzato, né allora, né nelle crisi migratorie successive, tra cui l’ultima relativa all’Afghanistan.

Per attivare il periodo di «protezione temporanea» servono infatti una proposta della Commissione europea e una decisione approvata a maggioranza qualificata dal Consiglio dell’Unione: 15 Paesi su 27, che rappresentino almeno il 65% della popolazione totale.

Una soglia di approvazione molto difficile da raggiungere in altri tempi, ma in questo caso la strada è tracciata: «È il momento giusto per la Direttiva sulla protezione temporanea», ha detto Ylva Johansson, dopo il meeting dei ministri, annunciando l’intenzione di proporla ufficialmente entro la fine della settimana.

Il Consiglio appare pronto a fare la sua parte: il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin, che presiede le riunioni, lo ha messo in agenda e alcuni suoi omologhi come il belga Sammy Mahdi hanno già espresso pubblicamente parere favorevole. Un «largo supporto» all’ipotesi è emerso dalla riunione, hanno confermato Darmanin e Johansson, specificando che alcuni Paesi sono solo indecisi se procedere subito o attendere gli sviluppi del conflitto.

La svolta dei governi sovranisti
Persino dai Paesi tradizionalmente più ostili all’accoglienza dei migranti sono arrivati segnali di apertura. Di recente il ministro dell’Interno della Polonia Mariusz Kaminski ha annunciato l’intenzione di accogliere «tutti coloro che arriveranno dall’Ucraina», anche se privi di documenti: una posizione in stridente contrasto con la scelta polacca di chiudere la frontiera con la Bielorussia ai profughi afghani di altre nazionalità.

Il governo di Varsavia sta anche allestendo centri di assistenza lungo il confine. Sulla stessa linea il Primo ministro ungherese Viktor Orbán, che dopo una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale ha dato la disponibilità di Budapest nell’assistenza agli sfollati.

Un punto cruciale sarà la distribuzione delle persone in arrivo fra i Paesi europei, che secondo le regole attuali avviene solo su base volontaria: gli Stati disponibili ad accogliere sul proprio territorio una parte dei migranti comunicano una quota e la Commissione coordina i ricollocamenti. Per la crisi ucraina, al momento, non è prevista nessuna eccezione.

È probabile che i Paesi più esposti avranno bisogno di collaborazione da parte degli altri, ha spiegato la commissaria Johansson, ma non si tratta di un problema immediato: entro i 90 giorni dal loro ingresso nell’Ue, i profughi ucraini possono infatti spostarsi autonomamente in tutti i 27 Paesi e molti lo stanno già facendo, per raggiungere parenti e amici. Gli ucraini rappresentano la comunità straniera più numerosa in diversi Paesi membri, dalla Cechia all’Ungheria: solo in Italia sono quasi 240mila, secondo i dati Eurostat risalenti al 2019.

Un meccanismo di redistribuzione obbligatoria, inoltre, sarebbe una misura eccezionale molto difficile da mettere in atto: quello pensato dalla Commissione per fronteggiare le situazioni di afflusso massiccio e previsto nel Pact on Migration, non ha mai riscosso successo presso gli Stati membri.

Ma come l’epidemia di Covid-19 ha cambiato radicalmente le politiche economiche dell’Ue, il dramma di milioni di profughi in arrivo potrebbe fornire la spinta per un nuovo approccio alla questione migratoria. L’Europa, diceva Jean Monnet, sarà proprio la somma delle soluzioni che saprà trovare alle sue crisi.

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