L’otto gennaio 2021 Twitter mise al bando Donald Trump, chiudendo l’account @realdonaldtrump e proibendo il ritorno dell’ex presidente sul sito. Nel corso di pochi giorni molti altri siti fecero lo stesso in un deplatforming totale, avvenuto in reazione alla tentata presa del Campidoglio del 6 gennaio – una protesta violenta sponsorizzata proprio da Trump, che prese le sembianze di un attacco coordinato ed eversivo.
Da allora, “The Donald” è senza tregua, oltre che senza social: per lui Twitter era stata la colonna portante della sua improbabile carriera politica, dai tweet in cui diceva di avere prove sicure sul fatto che Obama fosse nato in Africa ai comunicati politici che portarono alla sua candidatura e vittoria alle presidenziali. Fake news, attacchi personali, sfoghi notturni: Twitter era Trump; ma cosa rimane di Trump, oggi, senza il suo social?
Anche per questo, nel corso dell’ultimo anno, c’è chi ha lavorato per ridare una casa digitale al proprio beniamino. Tra tutti, alcuni social network di nicchia, come Gab, un’anti-Twitter di estrema destra che da tempo aspetta con ansia Trump (a cui riserva un profilo già pronto). Per molti mesi Donald ha cincischiato, preso tempo, valutato le alternative, persino tentato un gramo clone di Twitter sul suo sito personale (chiuso pochi giorni dopo per via dei risultati miseri); per poi, nell’ottobre dello stesso anno, annunciare la nascita di Truth Social, il social network ad personam dell’ex commander-in-chief.
Il progetto sembrava essere solo il primo passo del Trump Media & Technology Group (TMTG), una nuova società dall’obiettivo vago quanto ambizioso: proporre un’alternativa al presunto monopolio dell’informazione, che secondo i trumpiani va da Big Tech a Netflix, passando ovviamente per i mainstream media. Il 22 febbraio scorso, finalmente, Truth Social è stato lanciato con la pubblicazione di un app il cui rollout è stato caratterizzato da glitch e messaggi d’errore.
Il primo messaggio pubblicato dal profilo ufficiale di Trump è rimasto anche l’unico. Un “tweet” strano, un po’ da sala d’attesa del dottore («Preparatevi, il vostro presidente preferito arriverà presto!») che avrebbe dovuto catalizzare le varie anime della destra americana – da Fox News a QAnon –, radunandole nella loro nuova casa. Per dirla con una slide ufficiale del TMTG, unificare il frammentato universo “Non-Big Tech”, fatto di reti televisive, siti improbabili e app come Gettr, altro clone di Twitter fondato da un ex collaboratore di Trump. Non è successo granché da allora. Il secondo “tweet” di Trump deve ancora arrivare e pare che Donald sia furioso per lo scarsissimo interesse suscitato dall’impresa, che non è riuscita nemmeno a fare presa tra i suoi fan più sfegatati.
I motivi del fallimento sono molti: innanzitutto, la notevole concorrenza creata da Gab, Parler, Gettr et similia, tutti social di destra che si contendono un pubblico ristretto. In secondo luogo, l’aspetto tecnologico: Truth Social ha copiato Mastodon, una rete sociale di microblogging decentralizzato, ma è pieno di bug e ha delle condizioni d’uso particolarmente severe, specie se si ricorda che era stato pubblicizzato come un’alternativa alla cancel culture in cui la libertà espressiva sarebbe stata finalmente rispettata. E invece questo social incancellabile ha delle regole ferree che, come racconta il Guardian, vietano agli iscritti di infastidire i dipendenti dell’azienda, la quale non può essere denigrada, né calluniata, il tutto mentre agli utenti viene chiesto di astenersi dall’uso eccessivo di lettere maiuscole. (Ma come, proprio il caps lock, il marchio di fabbrica dei tweet del grande capo?).
Infine, la causa puramente social, comportamentale. Ai trumpiani non interessa avere un posto tutto per sé: per quello esistono già i canali Telegram e Discord, i subreddit e siti come 8chan (per non parlare dei gruppi Facebook). Twitter, per l’estrema destra, i sovranisti e i suprematisti bianchi, serviva – e serve – a prendersela con il nemico: i giornalisti, le femministe, le persone trans, qualsiasi membro della comunità LGBTQ, i famigerati libs che secondo loro vanno sfottuti, molestati online e sbertucciati, tutti insieme, a colpi di retweet e forme di trolling varie ed eventuali.
Ai trumpiani non interessa niente avere un posto in trovarsi tutti d’accordo;vogliono strillare contro i loro nemici, pubblicare spezzoni in cui qualche giornalista sbaglia o in un cui una donna si comporta in modo tale da dimostrare una presunta crisi della civiltà occidentale. E non lo vuole nemmeno Donald Trump stesso. Sarà per questo che il primo a non essere interessato al suo social è proprio lui.