Dolcemente reazionarieKatakin Éva, donna, cristiana e prima presidente omofoba d’Ungheria

Ecco perché Viktor Orbán ha eletto come capo dello Stato l’ex ministra della Famiglia Novák

Szilard Koszticsak/MTI via AP

Con l’inarrestabile escalation del conflitto bellico russo-ucraino è passata quasi in sordina la notizia dell’elezione di Katalin Éva Novák a presidente della Repubblica d’Ungheria.

Finora vicepresidente di Fidesz con delega agli Affari Esteri, la quarantaquattrenne fedelissima di Viktor Orbán, che per lei aveva creato il ministero della Famiglia ponendola alla guida dello stesso a partire dall’1 ottobre 2020, ha sbaragliato con 137 voti dell’Assemblea nazionale – 188 i parlamentari presenti giovedì 10 marzo in Aula – l’economista Péter Zsolt Róna. Il candidato della coalizione multipartitica d’opposizione Egységben Magyarországért (Uniti per l’Ungheria) s’è così attestato a 51 suffragi in una votazione dall’esito comunque scontato: lo schieramento del premier e quello satellite Kdnp detengono infatti la maggioranza dei due terzi in seno all’Országgyűlés con rispettivi 116 e 17 seggi sui complessivi 199.

La giurista ed economista multilingue Katalin Novák succede a János Áder, l’orbaniano di ferro che ha guidato il paese per due mandati quinquennali. Puntando sull’ex ministra che, sposata con István Attila Veres e madre di tre figli, è stata fra l’altro segretaria di Stato alla Famiglia e alla Gioventù dal 2014 al 2020, il premier magiaro ha voluto lanciare un vero e proprio appello all’elettorato femminile in vista delle elezioni parlamentari del 3 aprile.

Il leader di Fidesz s’è infatti sbracciato nel presentare la nuova inquilina di Palazzo Sándor come la prima donna a ricoprire il ruolo di presidente della Repubblica nella storia d’Ungheria. Anche perché il rigetto della ratifica della Convenzione d’Istanbul da parte dell’Assemblea nazionale è tema, e non da poco, su cui insiste la coalizione esapartitica d’opposizione guidata dal candidato premier Péter Márki-Zay. La speranza è quella di strappare l’Ungheria, dopo 12 anni di ininterrotto governo, a Viktor Orbán reduplicando il cosiddetto modello Karácsony. Quel Gergely Karácsony, per capirsi, che, eletto primo cittadino il 13 ottobre 2019, è riuscito a strappare la capitale ungherese a Fidesz, trasformando l’iniziale corsa personale in uno sforzo congiunto di tutte le parti politiche antiorbaniane.

Secondo Yuri Guaiana, componente della segreteria di +Europa, «avere una donna per la prima volta alla guida dell’Ungheria significa però poco o nulla: come diciamo da sempre non basta essere donna per essere una buona presidente». L’attivista di fama internazionale, che siede fra l’altro nel board di Ilga World, ricorda a Linkiesta d’aver «conosciuto Katalin Éva Novák al Congresso mondiale delle famiglie di Verona (Wcf) e, come se questo non bastasse, una ricerca del 2019 ha rivelato connessioni con l’organizzazione russa Risi, accusata di aver interferito con le elezioni presidenziali Usa».

D’altra parte, per quanto la neopresidente abbia inequivocabilmente sostenuto la condanna orbaniana, peraltro tardiva, dell’invasione dell’Ucraina, l’asse Budapest-Mosca è da tempo saldo come la sintonia di vedute tra Orbán e Putin su non poche questioni a partire da quella dei diritti delle donne e delle persone Lgbt+.

Ecco perché, continua Yuri Guaiana, «è preoccupante che il Parlamento ungherese abbia eletto a capo dello Stato una persona che ha partecipato a vari eventi finanziati da oligarchi russi e volti a diffondere propaganda putiniana, oltre che a istigare contro i diritti sessuali e riproduttivi di donne e persone Lgbt+».

Alla luce di ciò non meraviglia che i primi a complimentarsi dall’Italia con la presidente Novák siano stati il senatore leghista Simone Pillon, dettosi «sicuro che le giuste posizioni a favore della vita umana, della famiglia naturale, delle tradizioni cristiane e dei valori del nostro continente saranno sempre meglio rappresentate grazie a lei», e il portavoce di Pro Vita & Famiglia, nonché vicepresidente del XII World Congress of Families, Jacopo Coghe, che ha fra l’altro sottolineato come l’ex ministra della Famiglia abbia «difeso la libertà educativa dei genitori contro l’indottrinamento gender nelle scuole e affermato intervenendo al Congresso mondiale delle Famiglie di Verona […]: Io non sono un genitore 1 o un genitore 2, ma la madre dei miei figli».

Slogan, questo, che abbiamo sentito ripetere come un mantra, in un recente passato, da Matteo Salvini, protagonista anche lui dell’assise veronese insieme con orbaniani e putiniani, e da Giorgia Meloni, che s’è premurata anche lei di complimentarsi con Katalin Novák sia pur con toni più misurati.

Di parere opposto il sottosegretario all’Interno Ivan Scalfarotto, che nel 2020 – quando ricopriva cioè il medesimo ruolo alla Farnesina – è intervenuto decisamente sulla lesione dei diritti di donne e persone Lgbt+ in Ungheria col suo omologo magiaro alla Giustizia Janós Bóka. «Nel momento in cui – così al nostro giornale – qualcuno evoca lo scontro tra le civiltà e individua i diritti civili come spartiacque tra due mondi, non si può che auspicare che l’elezione al vertice delle istituzioni ungheresi di un’esponente politica che ha sempre sostenuto posizioni escludenti nei confronti delle persone Lgbt+, ne modifichi i toni e i messaggi. Mai come in questo momento il carattere inclusivo e aperto dell’Unione Europea ne ha segnato il carattere, l’identità e la riconoscibilità in tutto il mondo. L’Unione Europea non esiste se non garantisce a tutte e tutti i suoi cittadini uguaglianza, diritti, libertà e dignità».

D’altra parte, sempre a Verona l’allora segretaria di Stato per la Famiglia aveva infiammato l’uditorio col dire in riferimento alla ridefinizione di matrimonio – recepita dalla Costituzione magiara nel 2010 – quale unione tra un uomo e una donna: «Alcuni stanno combattendo per i diritti di una piccola minoranza e dimenticano la maggioranza. Non dovremmo dimenticare la maggioranza, dovremmo difendere i loro valori e dichiarare che un uomo e una donna sono necessari per una famiglia e un uomo e una donna sono sufficienti per una famiglia».

Non meraviglia pertanto che proprio a lei si debba l’estensione dell’emendamento 9 alla Costituzione magiara col quale, sulla base della perentoria affermazione che «la madre è una femmina e il padre è un maschio», viene conseguentemente affermato che «l’Ungheria protegge il diritto dei bambini di auto-identificarsi con il sesso con cui sono nati» e inoltre specificato che «l’istruzione è fornita secondo i valori fondati sull’identità costituzionale e sulla cultura cristiana» del Paese.

Col precedente emendamento, che di fatto sancisce il divieto d’adozione a coppie dello stesso sesso e a single persone single, esso è stato approvato il 15 dicembre 2020 dall’Assemblea nazionale dando così il via alla nona riforma della Carta o Legge fondamentale dell’Ungheria (Magyarország Alaptörvénye) nel giro di soli nove anni.

Novák ha inoltre ampiamente sostenuto la presunta normativa antipedofilia in vigore dall’8 luglio 2021, che, integrando modifiche alle leggi sulla protezione dei minori 31/1997, sulla pubblicità commerciale 48/2008, sui media 185/2010 e sulla scuola 190/2011, «vieta di rendere accessibili a persone di età inferiore ai 18 anni contenuti pornografici o che ritraggono la sessualità in modo gratuito o che rappresentano e promuovono la divergenza dell’identità [di genere] dal sesso assegnato alla nascita, il cambiamento di sesso e l’omosessualità».

Normativa che, esemplata su quella russa contro “la propaganda omosessuale”, è stata bollata il 7 luglio scorso da Ursula von der Leyen come «vergognosa» in quanto «mette l’omosessualità e il cambio di sesso alla pari con la pornografia» e condannata, l’indomani, dal Parlamento europeo con una Risoluzione approvata a larghissima maggioranza, in cui si domandava alla Commissione europea d’avviare una procedura accelerata d’infrazione nei confronti del Paese a guida Orbán.

Richiesta, questa, cui Palazzo Berlaymont ha dato subito seguito, il 15 luglio, con l’inizio di un’azione legale congiunta contro Ungheria e Polonia per medesima «violazione dei diritti fondamentali delle persone Lgbtiq».

Resta pertanto da formulare un solo auspicio secondo Yuri Guaiana: «Gli ungheresi tengano conto di tutto ciò il 3 aprile, quando saranno chiamati ad eleggere il nuovo Parlamento e a votare uno scandaloso plebiscito che Orbán ha indetto, tra l’altro, per confermare la legge anti-Lgbt sul modello della legge contro la cosiddetta “propaganda omosessuale” russa».

Referendum, che, contortamente formulato e annunciato il 23 luglio da Orbán, rischia in realtà, al di là di sbandierati proclami, di non raggiungere il quorum previsto, come già avvenuto nel 2016 per quello sui migranti. Quod est in votis.

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