Nelle ultime settimane, la guerra in Ucraina si è trasformata: per una serie di fattori (non da ultimo il supporto occidentale ricevuto) Kiev è riuscita a contenere l’offensiva di Mosca, costringendo l’esercito russo a riorganizzarsi. Ma con l’avvicinarsi della seconda fase del conflitto, che interesserà soprattutto le aree a sud-est del Paese, in Europa si discute di come continuare a sostenere l’Ucraina, valutando sanzioni, invio di armi e strategie per la riduzione della dipendenza energetica da Mosca.
Così come nei primi giorni dell’invasione, la Germania è al centro dell’attenzione: Berlino ha storiche relazioni economiche con Mosca, da cui è fortemente dipendente in termini di approvvigionamento energetico. Una tendenza accresciutasi durante gli anni di Angela Merkel, e che ha le sue radici nella Ostpolitik tedesca, basata sull’assunto che rapporti economici sempre più stretti tra l’Europa e la Russia avrebbero reso impossibile una crescita delle tensioni geopolitiche e militari.
Con l’invasione dell’Ucraina, questo scenario si è rivelato illusorio. Il governo guidato da Olaf Scholz, che vede in maggioranza socialdemocratici, verdi e liberali, ha quindi avviato quella che da molte parti è stata commentata come una inversione a U della politica estera tedesca, e che lo stesso Cancelliere ha definito una svolta epocale. Berlino ha bloccato l’attivazione del contestato gasdotto NordStream 2, dopo averlo per anni presentato come un progetto puramente economico, estraneo al piano geopolitico. In seguito, sono stati infranti due grandi tabù tedeschi: l’aumento delle spese militari, con la previsione di un fondo speciale da 100 miliardi e l’innalzamento della spesa in difesa al 2% al PIL, oltre che l’invio di armi in zone conflitto, attraverso la spedizione di armamenti in Ucraina.
Con la seconda fase della guerra, però, la Germania è tornata a dover affrontare alcune scelte, alimentando la conflittualità interna così come le frizioni con i partner europei. Rimane aperto il tema della dipendenza energetica da Mosca, soprattutto per quel che riguarda il gas naturale, fonte imprescindibile per Berlino se vuole realizzare i suoi obiettivi energetici e climatici entro il 2040.
Da più parti, in Europa, aumenta la pressione per sospendere l’importazione di gas russo, ma la Germania frena: in sede di Consiglio europeo, Scholz si è espresso contro lo stop alle importazioni, condizionando in questo modo l’UE nel suo complesso. Una mossa vista con sospetto dai diversi Paesi est-europei che fanno pressione per fermare le importazioni, e che per giunta è in aperto contrasto con il Parlamento Europeo, che nell’ultima sessione plenaria ha approvato una risoluzione in cui chiede di chiudere i rubinetti con Mosca.
È chiaro che uno stop al gas russo avrebbe conseguenze rilevanti sull’economia tedesca, e il governo è preoccupato dallo scenario di una recessione. Due giorni fa, Emily Haber, ambasciatrice tedesca a Washington, ha affermato su Twitter come uno stop totale al gas russo «avrebbe contraccolpi che andrebbero ben al di là della Germania», mentre «non è chiaro che effetto avrebbe sulla Russia» dato che «Putin non sembra ragionare secondo un’analisi di costi e benefici». Già nelle scorse settimane, tanto Scholz che Habeck (il verde a capo del Ministero dell’Economia) hanno detto chiaramente all’opinione pubblica che le sanzioni già attive avranno delle conseguenze sull’economia: «Diventeremo più poveri, e la nostra società dovrà fare i conti con questo» ha affermato Habeck in un’intervista alla ZDF. Secondo un sondaggio dell’Istituto demoscopico Allensbach, il 71% dei tedeschi dichiara che l’aumento dei prezzi dell’energia è la loro preoccupazione più grande in questo momento.
È chiaro che il blocco alle importazioni avverrebbe in un contesto complesso e produrrebbe effetti sull’opinione pubblica. Non è detto, però, che i tedeschi si dimostrino contrari a misure più drastiche verso la Russia: in un sondaggio realizzato per WDR, il 50% si esprimeva a favore di un blocco alle importazioni di petrolio e gas russo, con il 42% contrario (in discesa rispetto al passato). L’opinione pubblica è quindi molto divisa sul tema, tuttavia secondo lo stesso sondaggio il 45% dei tedeschi sostiene che la risposta tedesca alla Russia non sia stata sufficiente, contro l’11% che la definisce eccessiva e il 37% che la ritiene adeguata. Ogni scelta presa in materia energetica, quindi, potrebbe pesare sul governo in termini di consenso.
All’interno della maggioranza, inoltre, vi sono divergenze riguardo l’invio di armi. La Ministra degli Esteri, la verde Annalena Baerbock, aveva autorizzato la fornitura di circa cento carri armati all’Ucraina, scelta poi annullata da Scholz; il Cancelliere, inoltre, sembra reticente sull’invio di nuovi armamenti, ed è proprio su questo punto che stanno aumentando le tensioni con i Grüne, alleati di governo. Ma sul punto esistono posizioni differenti anche all’interno degli stessi Verdi, come dimostra il fatto che la settimana scorsa Habeck ha dichiarato al magazine Politico come l’invio di carri armati, in quanto considerati armi pesanti, sia stato <<finora escluso da tutti i paesi Nato>> è che quindi ogni decisione in merita vada discussa in sede europea o nell’alleanza atlantica.
In effetti, l’attuale fase vissuta da Berlino mostra come la Zeitenwende proclamata da Scholz sia più travagliata e complessa di quanto il suo annuncio al parlamento a fine febbraio lasciasse pensare. I legami con Mosca, rinsaldati dalla politica estera merkeliana, risultano difficili da recidere nel breve termine senza contraccolpi economici e senza un aumento delle tensioni geopolitiche. Per la Germania, dopo la rottura del tabù sulle spese militari, si tratta ora di realizzare a tutti i livelli (e con le difficoltà del caso) la transizione avviata da Scholz in materia di politica estera.
In questa prospettiva si spiegano non solo le incertezze del Cancelliere, ma anche come mai, sul fronte interno, gli attriti maggiori si producano proprio con i Verdi. I Grüne, infatti, sono tradizionalmente critici verso la politica estera merkeliana e il peso economico dei legami con Russia e Cina, e sono quindi per loro stessa natura la forza politica più indicata a interpretare l’ala della maggioranza più favorevole ad accelerare l’indipendenza da Mosca e rinforzare il sostegno all’Ucraina, pur consapevoli delle difficoltà e dei rischi impliciti.
Habeck ha già avviato contatti con altri Paesi per sostituire Mosca (a volte anche con realtà, come il Qatar, che per i Verdi potrebbero sollevare questioni di opportunità politica). Ma anche dagli altri alleati di governo, i liberali della FDP, arrivano critiche: Marie-Agnes Strack-Zimmermann, presidente della commissione difesa del Bundestag, ha di recente accusato Scholz di poca chiarezza sulla direzione da prendere dopo la Zeitenwende. In questa situazione di forte conflittualità interna al governo, un sondaggio Insa pubblicato domenica ha rivelato come solo il 38% delle persone intervistati si dichiarino assolutamente soddisfatte dell’operato di Scholz: un dato certo figlio del momento e potenzialmente soggetto a forti cambiamenti già a breve, ma emblematico, anche perché il più basso dall’inizio della cancelleria.
Nelle prossime settimane scopriremo se le incertezze tedesche saranno superate, come successo nei primi giorni della guerra, o se si riveleranno insormontabili. In base agli sviluppi, si capirà anche in maniera più definita quanto la Germania di Scholz sarà diversa da quella di Angela Merkel, e come si configureranno i rapporti interni all’attuale maggioranza.