Guerra mediaticaLe infiltrazioni russe nella democrazia europea

Una relazione approvata dal Parlamento di Strasburgo descrive tutti i metodi con cui il governo di Putin influenza da tempo gli Stati membri dell’Unione. I partiti del gruppo Id, tra cui la Lega, vengono usati come alleati interni

AP/Lapresse

«La macchina della propaganda russa accompagna quella militare in Ucraina, diffondendo informazioni false fra la sua popolazione». Lo ha detto Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, di fronte ai deputati del Parlamento europeo. Ma l’obiettivo delle campagne di disinformazione del Cremlino non sono solo i cittadini russi: l’Unione europea e i suoi abitanti sono nel mirino da tempo, come illustra la “Relazione sulle ingerenze straniere in tutti i processi democratici nell’Unione europea”, redatta da una commissione speciale (Inge) e appena approvata dalla plenaria dell’Eurocamera con 552 voti a favore, 81 contrari e 60 astenuti.

La longa manus del Cremlino
Certo, non c’è solo la Russia fra gli attori statali che «ricorrono alla manipolazione delle informazioni e ad altre tattiche di ingerenza per interferire nei processi democratici dell’Ue». La Cina, ad esempio, utilizza persino gli istituti di cultura Confucio disseminati in Europa come «piattaforma per i servizi di intelligence e il reclutamento di agenti e spie». Mosca e Pechino hanno anche approfittato della pandemia da Covid-19 per destabilizzare la regione dei Balcani, puntando a screditare le politiche comunitarie.

Altri Paesi come Azerbaigian, Qatar, Turchia ed Emirati Arabi Uniti hanno investito pesantemente in attività di lobby a Bruxelles, cercando di costruire una rete di organizzazioni, centri studio e iniziative utili a supportare i propri interessi: attività tecnicamente legali, ma funzionali a esercitare un’influenza indebita sul processo politico europeo.

La Russia, però, ricopre un ruolo preminente. Secondo i calcoli della commissione Inge, i regimi autoritari hanno speso più di 300 milioni di dollari in 33 Paesi per interferire con i processi democratici in tutto il mondo: la metà dei casi riguarda interventi russi in Europa.

Una strategia molto usata dal Cremlino è quella di strumentalizzare le minoranze russe o russofone negli altri Stati, promuovendo le cosiddette «politiche di protezione dei connazionali». Un copione seguito fino alle estreme conseguenze in Ucraina, con il riconoscimento delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, ma che viene riproposto anche nei Paesi baltici. Il concetto di “mondo russo” viene utilizzato per giustificare, all’interno e all’estero, le proprie mire geopolitiche: in Europa, a sostenere questa narrativa sono spesso fondazioni private, imprese, organizzazioni di media e Ong direttamente riconducibili al governo di Mosca oppure a esso connesse tramite legami nascosti.

Il Cremlino appare poi particolarmente abile in un processo definito élite capture, che consiste nel cooptare ex esponenti politici o dirigenti d’azienda di grosso calibro, inserendoli ad esempio nei consigli d’amministrazione delle società statali.

Il caso più noto è quello dell’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder, presidente del consiglio di Sorveglianza della compagnia energetica statale russa Rosneft e coinvolto nella messa in opera del gasdotto Nord Stream 2, sospeso dal governo tedesco dopo l’invasione dell’Ucraina.

Ma per restare in tema ci sono stati anche l’ex primo ministro finlandese Paavo Lipponen, consulente per la Gazprom, l’ex ministra austriaca degli Affari esteri Karin Kneissl nel consiglio di amministrazione di Rosneft, o l’ex Primo ministro francese François Fillon nel consiglio di amministrazione di Zarubezhneft, un’altra società petrolifera. Molti altri funzionari e politici di alto livello ricoprono simili ruoli, si legge nella relazione del Parlamento, che contempla la possibilità di associare le strategie di lobby economica a obiettivi di ingerenza straniera.

Per la sua opera di influenza, l’esecutivo di Vladimir Putin si serve anche di alcuni noti partiti europei. Secondo la relazione approvata dall’Eurocamera, «la Russia cerca contatti con partiti, figure e movimenti al fine di utilizzare attori in seno alle istituzioni per legittimare le sue posizioni, esercitare pressioni per alleggerire le sanzioni e mitigare le conseguenze dell’isolamento internazionale».

Molti dei soggetti politici in questione fanno parte del gruppo Identità e democrazia al Parlamento e tutti quelli citati afferiscono all’ala destra dei rispettivi schieramenti nazionali. L’austriaco Fpö (Freiheitliche Partei Österreichs), il francese Rassemblement National e l’allora Lega Nord hanno direttamente firmato accordi di cooperazione con il partito Russia Unita del presidente russo Vladimir Putin.

I tedeschi di AfD (Alternative für Deutschland), gli ungheresi di Fidesz e Jobbik e i britannici del Brexit Party avrebbero «stretti contatti con il Cremlino», al punto di partecipare come osservatori ai processi elettorali nelle autoproclamate repubbliche del Donbass, per legittimarli.

Le forze politiche menzionate hanno contestato questa lettura e provato a eliminare il riferimento con una votazione sul singolo paragrafo, che però è stato confermato a maggioranza schiacciante.

I deputati della Lega si sono opposti alla parte in questione e poi astenuti sul voto complessivo. «Non potevamo avallare una relazione che è stata fortemente strumentalizzata», dice a Linkiesta l’europarlamentare leghista Marco Dreosto, membro della commissione Inge. «Doveva essere un documento strettamente tecnico, che facesse da base alla Commissione per prendere misure volte a contrastare le ingerenze. Ma alcuni gruppi del Parlamento hanno voluto inserire quel paragrafo, che è un attacco politico: la trovo una scorrettezza e ci vedo l’intervento dei parlamentari del Pd».

Di parere opposto l’eurodeputata del Movimento 5 Stelle Laura Ferrara: «Questi partiti, consapevolmente o no, hanno veicolato negli ultimi anni la disinformazione, le fake news, la manipolazione di fatti e la propaganda di Mosca. Le loro attività rappresentano una minaccia globale alle società democratiche», scrive in una nota.

Le contromisure dell’Europa
Proprio la disinformazione è l’obiettivo principale delle misure proposte dal Parlamento europeo, ma anche di una recente decisione storica presa dagli Stati membri.

L’Eurocamera invita la Commissione ad avviare uno studio sulle norme minime per i mezzi di comunicazione, quale base per revocare eventualmente le licenze in caso di violazioni. Alcune testate giornalistiche, infatti, non andrebbero considerate tali: le russe RT e Sputnik, le turche Anadolu e Trt World, le cinesi Cctv (China Central Television), Global Times e Xinhua. Pertanto, sostiene il Parlamento, non dovrebbero godere degli stessi diritti e protezione garantiti ai media democratici.

Su questa linea si è di recente mosso il Consiglio dell’Unione, che su proposta della Commissione ha sospeso dal 2 marzo i canali televisivi e web di Sputnik e RT/Russia Today. Le due società editoriali sono considerate «sotto il controllo permanente, diretto o indiretto, delle autorità della Federazione russa» e «determinanti per sostenere l’aggressione militare nei confronti dell’Ucraina e la destabilizzazione dei Paesi vicini».

I loro video e articoli sarebbero quindi parte di una «sistematica campagna internazionale di disinformazione, manipolazione delle informazioni e distorsione dei fatti». Per questo, la decisione rientra nella lunga lista di sanzioni comminate dall’Unione alla Russia in queste due settimane di guerra e verrà riconsiderata soltanto al termine dell’aggressione militare e comunque quando cesseranno le azioni disinformative nei confronti dell’Unione europea e dei suoi Stati membri.

Non tutti, in Europa, sono d’accordo. Il Sindacato dei giornalisti francese ha contestato la chiusura del canale RT France, sostenendo che il lavoro, pur discutibile, di una redazione giornalistica non va confuso con la politica del Paese che la finanzia.

Anche la Federazione dei giornalisti europei critica una scelta che rappresenta il primo esempio di censura moderna da parte dei governi nell’Europa occidentale, sottolineando al contempo come la regolamentazione dei mezzi di comunicazione sia competenza nazionale e non oggetto di decisioni comunitarie.

«La sfida per le democrazie è combattere la disinformazione preservando al contempo la libertà d’espressione», scrive il Segretario generale Ricardo Gutiérrez. Un equilibrio ancora più complicato da trovare in tempi di guerra.

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