Francesca Cesa Bianchi è architetto, nonché partner e project director di Stefano Boeri Architetti, studio internazionale con sede a Milano, Tirana e Shangai.
Come sta evolvendo il ruolo di voi architetti in uno scenario così mutevole come quello che stiamo attraversando oggi? Quali sono le sfide e le prospettive a cui guardare?
Se da un lato l’aggravarsi della crisi ambientale ci ricorda che le città, come luoghi di massima aggregazione e concentrazione umana, hanno e avranno un ruolo imprescindibile nel plasmare il futuro del nostro Pianeta – essendo responsabili del 75% delle emissioni di CO2 e del consumo delle risorse naturali – dall’altro stiamo subendo ancora gli effetti di una pandemia che ha inevitabilmente segnato il settore dell’architettura e, più in generale, le nostre città. Lo stiamo vedendo ad esempio con il ritorno in auge dei materiali come il cemento, ma anche con un diverso approccio all’abitare domestico e urbano, più orientato alla distribuzione dei luoghi di lavoro, e di vita, sul territorio.
Come architetti, urbanisti, progettisti, credo che parte del nostro lavoro sia riflettere su queste macro trasformazioni, per capire come il disegno degli spazi del futuro possa determinare i fenomeni in corso, o esserne determinato. Questo ci richiede di essere sempre più attenti e attivamente coinvolti per rispondere al mutare delle esigenze, dei bisogni, delle necessità delle comunità e della società in generale.
Nella nostra realtà, nel nostro studio, quello che cerchiamo di fare è aprirci il più possibile al dialogo: con altri esperti, con altre discipline, con altri professionisti e con altre esperienze, per cercare di dare risposte il più possibile inclusive e integrate a problemi complessi che la contemporaneità ci pone davanti. Un esempio di questo approccio è il lavoro che portiamo avanti sul tema della forestazione urbana, in collaborazione con istituzioni, enti di ricerca, università e ricercatori di tutto il mondo: il risultato è una pratica progettuale che si confronta, a diverse scale e in diversi contesti geografici, con la questione ambientale, con il rapporto tra natura e costruito, con un nuovo modo di immaginare, progettare e vivere le città del futuro prossimo. Abbiamo di recente pubblicato un libro, “
Green Obsession”, che mette a sistema l’attività del nostro studio negli ultimi vent’anni legata al tema della forestazione urbana e dell’implementazione di
nature-based solutions nelle città.
Per noi questa è sicuramente una prospettiva importante, nonché un’enorme sfida: rendere le città verdi e accessibili, trasformare i parcheggi in superfici permeabili, abitare nuove corti verdi e tetti giardino, moltiplicare la presenza di alberi e piante – e quindi anche uccelli, insetti impollinatori… All’interno dei contesti urbani non è un’utopia, ma una scelta concreta ed efficace che molte metropoli stanno già portando avanti, nella prospettiva della transizione ecologica e di un complessivo miglioramento della qualità dell’aria.
Lo studio di cui lei è partner è leader al mondo nello sviluppo del modello della forestazione verticale. Cosa ha portato il modello del Bosco Verticale a ottenere un tale seguito a livello mondiale e quale sarà il suo futuro?
Il Bosco Verticale è uno dei modi di implementare la forestazione urbana, una delle strategie attraverso cui portare migliaia di alberi e piante nel cuore di una città costruita. Basti pensare che, nel caso del Bosco Verticale di Milano, il verde presente sulle due torri – che ospitano oltre 800 alberi e 20.000 piante – equivale a due ettari di foresta, pur occupando una superficie molto ridotta nel centro di Milano. Il Bosco Verticale è stato il primo prototipo di una nuova idea di architettura, il primo edificio in cui il rapporto con la natura vivente è stato considerato un criterio fondamentale della progettazione. Per questo per noi è stato un vero e proprio esperimento che oggi, a quasi 10 anni dalla sua costruzione, si è rivelato positivo. Credo che la forza del Bosco Verticale stia anche in questo: nell’aver saputo innovare mantenendo una visione molto forte – una “casa per gli alberi che ospita anche uomini e uccelli“, così veniva definita – nonostante le numerose sfide.
Dal sistema di irrigazione e manutenzione fino alla progettazione strutturale del sistema di vasi, dalle questioni assicurative alla resistenza delle piante al vento: tutto nel Bosco Verticale è stato preso in considerazione, per la prima volta in architettura, per poter garantire le migliori condizioni di crescita possibile per il verde, trattandolo come un vero e proprio materiale di progetto.
Quindi da un lato la vocazione globale, il saper dare una risposta concreta ad alcune grandi criticità attuali (la mancanza di verde nelle città, l’inquinamento dell’aria, il crescente sprawl che frammenta la città…) e dall’altro la potenza della visione credo che siano fattori che hanno contribuito a rendere il Bosco Verticale un’icona di Milano e un simbolo nell’architettura contemporanea.
Allo stesso tempo il Bosco Verticale non è un punto di arrivo, ma di partenza; è per noi il primo esempio, un caso studio, che ci offre costantemente la possibilità di capire, studiare e, di conseguenza, migliorare diversi aspetti di questa nuova tipologia architettonica. La ricerca legata a un edificio come questo – vivo, cangiante, mai uguale a se stesso, che cambia con il cambiare delle stagioni, della luce, del clima – ha un ruolo importantissimo per monitorare la crescita del progetto e traguardare i passi successivi.
I nuovi Boschi Verticali costruiti o in costruzione – in questo momento abbiamo 21 cantieri attivi nel mondo – rappresentano per noi dei passi in avanti, in diverse direzioni, verso il perfezionamento e l’adattamento della tipologia: abbattendo i costi con soluzioni tecnologiche sostenibili e innovative, come ad Eindhoven; o cambiando radicalmente il paesaggio urbano e le aspettative della popolazione per una futura città sostenibile, in un luogo dove il problema principale è l’inquinamento, come a Huanggang in Cina; o dialogando con il contesto a partire dalla vegetazione e dalla forma del costruito, adattandosi a un contesto climatico differente, come in Egitto.
Dopo due anni di pandemia ci siamo trovati a dover ripensare gli spazi domestici e metropolitani. Per una città che fosse accessibile anche ai più giovani il vostro studio ha sviluppato diversi progetti nell’ambito del social housing. La Trudo Vertical Forest di Eindhoven, per esempio, definisce nuovi standard abitativi ed è il primo prototipo di Bosco Verticale destinato ad alloggi sociali. Ci racconta la filosofia di questo progetto e come è stato accolto dalla comunità?
La Trudo Vertical Forest rappresenta per noi il raggiungimento di un vero traguardo: rendere la tipologia del Bosco Verticale accessibile a tutti, anche a inquilini con basso reddito, dimostrare che vivere a contatto con gli alberi e il verde – e godere dei loro vantaggi – non è una prerogativa esclusiva, ma può anzi diventare una scelta possibile anche per cittadini con background economici molto diversi.
Il progetto non si limita a modificare il paesaggio urbano, ma tiene conto della necessità di alberi e piante per ogni appartamento – definendo nuovi standard abitativi per il social housing – rispondendo contemporaneamente a problematiche ambientali ed abitative. L’obiettivo è quello di garantire un’elevata qualità, sia degli spazi interni che del sistema di balconi e spazi aperti, anche in un edificio con un costo di costruzione notevolmente ridotto rispetto al caso di Milano.
In questo senso, proprio il Bosco Verticale di Milano è stato per noi una “scuola”, che ci ha permesso di sviluppare in questo secondo progetto una serie di innovazioni e soluzioni tecniche in grado di abbattere notevolmente i tempi e costi della realizzazione. In particolare, abbiamo effettuato uno studio mirato in fase di progettazione, basato principalmente sulla prefabbricazione delle strutture portanti e la modularità dei loro elementi. Ad esempio: i balconi sono stati assemblati partendo dall’alternarsi di 6 tipologie di vasi, creando una facciata ritmata ma, allo stesso tempo, di grande semplicità.
Anche le scelte tecnologiche, come il sistema idrico circolare, si sono mosse in questa direzione: l’acqua piovana viene raccolta e immagazzinata in cisterne sotto l’edificio e riutilizzata per l’irrigazione. In questo modo è stato possibile offrire affitti a un prezzo calmierato, per accogliere studenti, coppie o giovani professionisti, che oggi abitano la torre e ne hanno personalizzato gli interni, secondo i propri gusti e le proprie passioni. La curiosità nei confronti dell’edificio è stata subito molto alta, soprattutto nel quartiere in cui si trova (Strijp-S, ex quartiere industriale e oggi luogo di grande concentrazione creativa e artistica), storicamente legato all’innovazione e al design.
Moltissimi cittadini hanno richiesto di poter abitare la torre, al punto che la selezione è avvenuta a partire dal coinvolgimento dei futuri inquilini in attività comunitarie o socialmente utili, per poter valorizzare la dimensione di comunità e rafforzare i legami relazionali tra gli abitanti del Bosco Verticale e il distretto. Oggi siamo orgogliosi che la Trudo Vertical Forest stia diventando un punto di riferimento nel quartiere, non solo come riferimento architettonico, ma anche come hub della biodiversità e acceleratore di relazioni, che sono create e si stanno creando dentro e attorno all’edificio.
Il vostro studio è impegnato anche nella progettazione delle città, oltre che nella progettazione dei luoghi dell’abitare. Da dove si parte per immaginare il futuro di una città?
Su scala urbana, stiamo lavorando in geografie completamente diverse tra loro, dal Medio Oriente – dove abbiamo proposto una campagna per la propagazione ecologica appositamente progettata per i contesti a clima arido – al Messico. In tutti i casi a guidarci è stata la necessità di ripensare gli spazi dell’abitare partendo da un nuovo equilibrio tra l’uomo e le altre specie viventi. Avviare nuove politiche di forestazione per le nostre città, in cui inserire anche i Boschi Verticali come fautori di biodiversità e sostenibilità, progettare strategie circolari per la manutenzione e la gestione degli edifici e dei quartieri, ma anche ridisegnare la mobilità urbana e incentivare l’utilizzo di energie pulite sono obiettivi fondamentali nella progettazione di un masterplan, di un quartiere o di una città. Da questo punto di vista, i nostri due progetti della Smart Forest City di Cancún, una “città foresta” interamente rivestita di piante e alberi, e il quartiere di Tirana Riverside sono esemplari.
La prima è una città di medie dimensioni, autosufficiente dal punto di vista energetico, che accoglie al suo interno la natura vivente, insieme a tutti gli altri elementi urbani. Pensata per rispondere alle esigenze di 120.000 persone, la Smart Forest City racchiude al suo interno un mix di funzioni, aperte e accessibili per tutti i cittadini, con l’obiettivo di favorire l’istruzione e l’emancipazione economica sviluppando soluzioni, stili di vita e comportamenti radicalmente eco-efficienti, a partire dalla riduzione della domanda complessiva di energia e rifiuti. Elemento fondamentale del progetto è la “walkability”, ossia la distanza a piedi dalle aree residenziali a tutti i servizi accessori all’abitare (ad esempio gli spazi per la cultura, i servizi sanitari, i luoghi del lavoro e dello svago) per garantire la piena fruibilità di tutte le funzioni e favorire gli spostamenti a piedi o in bicicletta, riducendo il traffico e l’inquinamento causati da un eccessivo utilizzo delle automobili nelle città.
Allo stesso modo, il masterplan di Tirana Riverside, progettato in risposta del terremoto che ha colpito la città, è pensato come un ampio progetto di rigenerazione urbana che favorisce una mixité funzionale e sociale, accogliendo al suo interno diverse culture e etnie, in un distretto accessibile e autosufficiente dal punto di vista dell’energia pulita, dell’acqua, del cibo e di tutti i servizi pubblici urbani. La distribuzione dei principali servizi ruota attorno a tre centralità disposte ad una distanza pedonale una dall’altra, che rendono Tirana Riverside un quartiere policentrico a zero emissioni, contenente tutti i servizi essenziali per i cittadini.
Anche qui la “prossimità” unita a soluzioni innovative ed ecologiche per quanto riguarda la produzione di energia e la mobilità all’interno della città, è l’obiettivo primario. Prossimità con la natura vivente, non relegandola a un ruolo ornamentale, e prossimità a servizi e bisogni della comunità, verso un futuro in cui la forestazione urbana si inserisca nei piani di sviluppo di un sempre crescente numero di città, trasformando l’approccio dell’abitare verso una consapevolezza dell’ambiente in cui viviamo e che dobbiamo preservare a tutti i costi.