Undicimilaquarantasei animali venduti, spesso attraverso canali telematici come Facebook. Secondo un rapporto di inizio aprile della sezione asiatica del Wwf, nel 2021 il commercio illegale di fauna selvatica in Myanmar è aumentato del 74% rispetto al 2020. Una tendenza accentuata sia dall’instabilità politica del Paese che dalla pandemia, che ha quasi completamente eliminato i mercati fisici spostando il tutto sul web, dove sono più difficilmente rintracciabili.
La relazione “Going viral: Myanmar’s wildlife trade escalates online” evidenzia come nel 2021 siano state 173 le specie messe in vendita: un numero più alto rispetto alle 143 dell’anno precedente, di cui il 96% vivi. A destare particolare attenzione è l’aumento del numero di mammiferi commerciati, sia vivi che parti del loro corpo, cresciute del 241%. Numeri impressionanti sui quali la giunta militare, tornata al potere in Birmania dal febbraio 2021, non ha potuto né voluto fare molto.
La vendita (online) degli animali dopo il colpo di Stato
«Il commercio online di fauna selvatica all’interno del Myanmar sta aumentando, nonostante l’importanza globale della sua biodiversità e tutto ciò che ora sappiamo sulle origini del COVID-19. Le regole sanitarie più elementari non vengono osservate e sui gruppi online si parla apertamente del commercio di animali che rischiano l’estinzione», ha dichiarato Shaun Martin, responsabile del progetto Cybercrime per il commercio illegale di fauna selvatica del Wwf Asiapacific. Il tutto senza il minimo controllo delle autorità: la legge voluta da Aung San Suu Kyi nel 2018 (ulteriormente rafforzata nel 2020), che prevedeva la tutela di 390 specie, pare essere un lontano ricordo con la giunta militare di nuovo al potere da febbraio 2021.
Il governo del generale Min Aung Hlaing ha tentato di chiudere i nuovi spacci online di animali selvatici, ma senza successo, visto che la censura è facilmente aggirabile attraverso l’utilizzo di un diverso VPN. Lo dimostra il più grande gruppo di commercio online scoperto dal Wwf, che contava più di 19mila membri e oltre 30 post al giorno. Dal 2018 la Ong si è impegnata a monitorare Facebook, in accordo con il gigante di Menlo Park, cercando di identificare e segnalare transazioni che coinvolgono specie protette.
Diverse centinaia di annunci, account e gruppi sono stati quindi chiusi da Facebook nel 2020, ma non è stato sufficiente. Infatti, come osserva il Wwf, spesso i gruppi di scambio segnalati riappaiono con altri nomi. Non una novità, considerando che Facebook in Birmania conta quasi 30 milioni di utenti. «I venditori pubblicano sfacciatamente sui social le specie protette dalla legge, condividendo foto e video. Preoccupa soprattutto il trasporto di questi animali selvatici, che spesso avviene su autobus pubblici, in imballaggi fragili, con etichette che talvolta riportano senza menzogne il contenuto presente all’interno.
Questi crimini informatici hanno il potenziale per destabilizzare la regione e occorre fare di più per affrontare sia l’offerta che la domanda di fauna selvatica», afferma Martin. Come mostrano alcuni screenshot del rapporto, i post di Facebook dove vengono venduti alcuni orsi come animali domestici superano a volte anche i 500 commenti e i 1.000 Mi piace. La domanda è spesso maggiore dell’offerta, visto che tutti gli annunci di vendita di carne selvatica vengono conclusi nel giro di pochissimi minuti.
A questo fenomeno si contrappone l’inerzia delle autorità politiche e militari, con la polizia e le forze armate che stanno concentrando poche energie sul contrasto del commercio di animali selvatici e a rischio estinzione. E in questo senso non aiuta nemmeno l’economia: secondo i dati della Banca Mondiale, il colpo di Stato del 2021 ha portato a una contrazione del Pil nazionale fino al 18%. Significa che qualunque commercio, dalla droga fino agli animali selvatici, trova facili agevolazioni sottobanco.
Gli animali coinvolti
Sono tantissimi gli esemplari di fauna selvatica oggetto di commercio. Si va dagli zibetti, animali simili ai procioni, alla sonda e ai pangolini cinesi, specie in via di estinzione che vengono tranquillamente richiesti sia per la loro carne che da custodire in cattività, nonostante siano stati accertati come portatori dei betacoronavirus correlati alla Sars.
Poi ci sono anche animali più grossi, come elefanti, tigri, orsi e cervi, di cui un tempo i compratori, soprattutto cinesi, ne apprezzavano le virtù curative o afrodisiache, mai accertate. Paradiso per questo tipo di commerci era Mong La, città birmana nel Triangolo d’oro e al confine con lo Yunnan cinese, dove fino al 2020 la vendita di fauna selvatica era particolarmente florida, come ricorda Le Monde.
La pandemia ha cambiato drasticamente lo scenario, spostando l’intero commercio online, visto che il confine con la Cina resta chiuso e dal 2020 Pechino ha un severo divieto di vendita, consumo e trasporto di selvaggina in tutto il suo territorio (valido fino a nuovo ordine). Non c’è quindi da sorprendersi se molti prodotti di avorio e pelli d’elefante, usati spesso per curare l’eczema o avere una bella carnagione (e che un tempo si trovavano a Mong La), oggi si trovino online.
Exciting news: since 2010, we & our partners have discovered 100 new species in Myanmar!
From Popa langurs to Ywangan crocodile newts, each is a reminder of how much more there is to learn about our amazing natural world and greater reason to protect it.https://t.co/hGoCvMCQAr
— Fauna & Flora International (@FaunaFloraInt) March 5, 2022
La tutela della biodiversità in Myanmar
Un simile commercio selvaggio resta un vero e proprio crimine in un Paese come la Birmania, un paradiso della biodiversità. Lo dimostrano le oltre 100 specie scoperte soltanto negli ultimi 10 anni, tra cui si segnalano la scimmia dal naso camuso di Stryker (nota anche come “la scimmia che starnutisce”), un granchio delle caverne, una lumaca carnivora e 17 specie di cozze d’acqua dolce.
«La Birmania ospita ricchezze biologiche che la maggior parte dei paesi può solo sognare. Le sue foreste ospitano alcuni degli animali selvatici più spettacolari del sud-est asiatico continentale», ha scritto la Ong Fauna & flora International (Ffi) in una nota di inizio marzo. La stessa Ffi aveva però anche evidenziato le minacce che le tante specie selvatiche presenti nel Paese devono affrontare: dal disboscamento alla caccia, passando per l’agricoltura e lo sviluppo delle infrastrutture. Molti animali rischiano l’estinzione in Myanmar, come per esempio gli elefanti: secondo le ultime stime sarebbero meno di 2 mila gli esemplari rimasti. La speranza è che d’ora in avanti qualcosa cambi.