Sulle sanzioni alla Russia anche il G7 di Bonn in Germania è in una situazione di stallo. La proposta americana di introdurre dazi sul petrolio russo non decolla. E a mettersi di traverso è soprattutto la Germania.
Janet Yellen, segretario al Tesoro degli Stati Uniti, è arrivata nel Vecchio Continente per rilanciare l’idea già discussa un mese fa al G7 dei ministri delle Finanze a Washington: stabilire un meccanismo per controllare il costo del greggio di Mosca attraverso l’introduzione di dazi o la fissazione di un prezzo in modo da ridurre i guadagni del Cremlino. Ma al G7 in Germania – spiega La Stampa – l’idea si è scontrata con i dubbi dei tedeschi.
«Dalle discussioni non è emersa una strategia chiara sui dazi al petrolio», ha ammesso Yellen. E così l’iniziativa è stata per il momento accantonata. Almeno per il momento.
Ma i governi europei non sono tutti sulla stessa linea. Il premier Mario Draghi aveva ventilato infatti l’ipotesi di fare cartello con gli altri acquirenti di petrolio russo con questa finalità, visto che il sistema può funzionare solo se applicato da un numero significativo di importatori. La Francia non ha espresso riserve, ma a Parigi è in corso il cambio di governo e il ministro Bruno Le Maire non era presente alla riunione del G7. In questa situazione, per la Commissione europea non è certo facile prendere una posizione.
Il New York Times ha parlato della possibilità di adottare questo meccanismo come sanzione secondaria, cioè colpendo i Paesi che accettano di pagare il petrolio russo al di sopra di una determinata soglia. Ma una tale misura funzionerebbe soltanto in caso di un accordo con l’Europa, diversamente si creerebbe uno scontro sull’asse transatlantico che al momento si vuole evitare.
Ursula von der Leyen per ora preferisce concentrarsi sul sesto pacchetto di sanzioni Ue. A nulla sono valsi gli appelli di Yellen, che aveva parlato di soluzioni «complementari» e durante l’incontro a Bruxelles le aveva suggerito di introdurre i dazi sin da subito, in attesa dell’entrata in vigore dell’embargo.
Ma su questo fronte continua lo stallo con l’Ungheria. Con Budapest si discute di un contributo di 770 milioni di euro per riconvertire le raffinerie e realizzare l’oleodotto verso la Croazia. Intanto però alcuni partner europei iniziano a spazientirsi. In primis la Polonia, che ha sollevato obiezioni sulle deroghe concesse agli ex alleati di Visegrad (Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca), i quali avranno più tempo per azzerare gli acquisti di petrolio russo. Varsavia ha chiesto un meccanismo per vietare la vendita verso gli altri Paesi dei prodotti realizzati con il greggio acquistato in deroga alle sanzioni e ha sostenuto l’idea di introdurre dei dazi.
Ma i Paesi Ue restano divisi anche sul sistema del pagamento in rubli. Polonia e Bulgaria si sono rifiutate di adeguarsi alle richieste del Cremlino e sono rimaste senza gas. La società finlandese Gasum ha deciso di fare lo stesso e infatti le forniture verranno interrotte. Ma le altre vanno nella direzione opposta. Anche la tedesca Uniper dovrebbe seguire l’italiana Eni
La Commissione europea continua a «sconsigliare» l’apertura del secondo conto in rubli presso Gazprombank perché così «c’è il rischio di violare le sanzioni», ricordando che spetta ai singoli Paesi «attuare le sanzioni e vigilare sulla loro applicazione».
Secondo il Cremlino, però, a oggi «circa la metà dei 54 clienti di Gazprom ha aperto i conti correnti presso Gazprombank», in linea con il decreto.