Promuovere il lavoro come uno strumento per l’inclusione sociale: è questa la mission che, da oltre dieci anni, guida The Adecco Group nella promozione delle iniziative a supporto delle persone rifugiate per favorirne l’inserimento lavorativo.
Progetti e percorsi che sono stati illustrati nel corso dell’evento digitale “Inclusion@Work – L’inserimento lavorativo delle persone rifugiate: un valore per l’intera società”, organizzato dal Gruppo in collaborazione con Fondazione Adecco, Unhcr e Vita. Insieme a Claudio Soldà, CSR & Public Affairs Director di The Adecco Group Italia, hanno partecipato Andrea De Bonis, Protection Associate di Unhcr Italia, Simone Lotterio, Hr Manager di Kiabi Italia, Giampaolo Cerri, caporedattore di Vita e Mirwais Azimi, rifugiato afghano che attualmente lavora nel Gruppo Adecco in Italia.
In oltre un decennio, le iniziative del Gruppo hanno coinvolto profughi di diverse nazionalità, rispondendo alle urgenze che, via via, le contingenze internazionali hanno presentato. Compresa la crisi ucraina, a cui il Gruppo ha risposto sia con iniziative di sostegno economico che di accoglienza e inclusione.
Tra le azioni intraprese negli ultimi mesi, rientrano infatti la creazione di una piattaforma – a livello globale – che offre diverse opportunità professionali e moduli di formazione gratuiti, e lo stanziamento, in Italia, di 200mila euro, messi a disposizione di alcuni partner di Fondazione Adecco per le Pari Opportunità impegnati per offrire sostegno ai profughi ucraini. Inoltre, Adecco Italia è stata parte attiva nella definizione dell’accordo tra Assolavoro e le Organizzazioni Sindacali di settore che ha destinato risorse importanti a misure di politica attiva e misure di welfare a favore delle persone rifugiate, tra cui l’organizzazione di corsi di formazione linguistica e culturale e il sostegno economico e psicologico per le donne con figli a carico.
Andrea De Bonis, dall’osservatorio Unhcr, ha ripercorso le fasi principali che hanno scandito l’accoglienza delle persone rifugiate in Italia nell’ultimo decennio. Dagli arrivi dal Mediterraneo centrale (quasi 650mila dal 2011 al 2017), passando per i corridoi umanitari attivati dal 2014, fino all’evacuazione dei rifugiati afghani nel 2021 e all’arrivo dei rifugiati ucraini nel 2022. Negli anni sono cambiati la provenienza, la composizione e il livello di istruzione di chi ha chiesto asilo nel nostro Paese, «con storie diverse a seconda del luogo da cui queste persone arrivavano, che hanno impattato anche sui processi di inclusione lavorativa», ha spiegato De Bonis.
L’Agenzia Onu per i rifugiati ha lanciato anche il premio “Welcome Working for refugee integration”, che premia le aziende italiane che si sono distinte per aver favorito l’inserimento professionale di chi arriva nel nostro Paese alla ricerca di una vita migliore. «Abbiamo iniziato con molti dubbi e senza sapere che tipo di feedback avremmo ricevuto da parte delle imprese», ha raccontato De Bonis. «E invece la disponibilità, la sensibilità e l’entusiasmo sono cresciuti nel corso del tempo, grazie al processo di accompagnamento che garantiamo, ma soprattutto dopo aver verificato la motivazione e la resilienza che i rifugiati portano nel proprio lavoro. Ormai abbiamo incontri molto frequenti con le aziende che ci chiedono come poter contribuire all’inclusione delle persone rifugiate. E, dai piccoli programmi pilota degli inizi, adesso sono le stesse aziende che chiedono di mettere a sistema questi progetti».
Una sensibilità accresciuta negli anni da parte del mondo imprenditoriale, registrata anche da Claudio Soldà, che ha sottolineato quanto sia importante l’attività di orientamento e di formazione per il percorso di inserimento delle persone rifugiate che il Gruppo Adecco garantisce insieme a Unhcr. Un’attività fondamentale sia per i futuri lavoratori, sia per le aziende stesse. «Le aziende non sono sole», ha detto Soldà. «Il nostro supporto è garantito. Ci impegniamo a offrire alle persone titolari di protezione internazionale gli strumenti necessari per garantire buone prospettive professionali, anche attraverso corsi di formazione che annullino, ad esempio, la barriera della conoscenza linguistica». E grazie a questi progetti, «le imprese potranno scoprire certamente come queste persone portino con sé competenze fondamentali come le capacità di problem solving e la resilienza, proprio alla luce delle loro esperienze di vita». Non solo. «La possibilità di inserire persone con background differenti apporta nelle aziende quella diversità culturale che è fondamentale nelle organizzazioni».
E il risultato è una sorta di contaminazione positiva negli ambienti di lavoro, come ha raccontato Simone Lotterio, Hr manager di Kiabi Italia che ha da poco avviato un percorso di inserimento delle persone rifugiate in azienda. «La diversità non va solo comunicata», ha spiegato. «In questo modo viene vissuta nelle nostre squadre: inserire e includere risorse che arrivano da esperienze e culture diverse ha mobilitato le squadre verso un obiettivo comune, creando un’energia positiva che viene espressa anche quando si lavora a contatto con la clientela».
E alle aziende vengono chieste principalmente due cose, ha aggiunto Mirwais Azimi: «Pazienza e fiducia». Azimi, che ha alle spalle un percorso di studi universitari in Italia, insegnava Geopolitica e storia delle relazioni internazionali a Herat quando i Talebani hanno ripreso il potere in Afghanistan ad agosto 2020. «Sono tra i fortunati che sono riusciti a venire in Italia», ha raccontato. «Conoscendo la lingua italiana per me è stato più semplice. Ma quando sono arrivato non facevo che pensare alla mia vita passata. Il lavoro mi ha dato la possibilità di concentrarmi su altro, di sganciarmi dal passato e trovare la forza per guardare con speranza al futuro». Oggi Mirwais Azimi è Knowledge Hub Specialist del Gruppo Adecco.