Parchi eolici e linee elettriche figurano tra le cause di mortalità dell’avifauna, soprattutto migratoria, che rischia la folgorazione e la collisione con tralicci e aerogeneratori. Se ampliare le infrastrutture per le energie rinnovabili è una delle strade da percorrere per raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione e combattere la crisi climatica, dobbiamo anche ricordare che non possiamo perdere la sfida della conservazione della biodiversità.
Ottenere entrambe le cose è un’utopia? No. Se progettate e posizionate in modo sapiente, le infrastrutture energetiche possono ridurre il loro impatto negativo sull’avifauna. Una risorsa utile in questo senso arriva da uno studio pubblicato ad aprile sul Journal of Applied Ecology. Si tratta di una mappa che individua – in Europa e in nord Africa – le zone più pericolose per l’avifauna, in cui è più urgente intervenire.
È difficile individuare con precisione il numero di uccelli che ogni anno rimane vittima di parchi eolici e linee elettriche, anche perché gli esemplari feriti possono trascinarsi fino a due chilometri di distanza dal luogo dell’impatto oppure essere predati da altri animali. Uno studio del 2009 aveva calcolato che le morti di uccelli causate dalle turbine eoliche fossero comunque inferiori a quelle provocate da impianti fossili e centrali nucleari. In quel periodo, in Italia, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) era giunto alla medesima conclusione.
Da allora, però, la presenza di infrastrutture per l’energia è aumentata. Parlando solo dell’eolico, dal 2009 al 2015 la produzione mondiale di energia proveniente dal vento è più che raddoppiata, con l’Europa che è attualmente leader globale dell’eolico offshore (in mare). Considerando anche gli impianti onshore, cioè a terra, l’Europa oggi dispone di 220 GW di capacità eolica installata in totale, ma si prevede che entro il 2050 potrà arrivare a 262-760 GW onshore e 300 GW offshore.
Nel momento in cui si valuta la fattibilità di un impianto di energia rinnovabile, si è già tenuti a osservare le leggi esistenti che tutelano l’ambiente e l’avifauna. Esiste una direttiva del Parlamento Europeo del 2009, ad esempio, che prescrive la conservazione e la protezione di tutti gli uccelli presenti in natura allo stato selvatico, prendendo atto del fatto che questa fauna, per lo più migratoria, sta diminuendo di numero proprio a causa delle attività umane. Tuttavia, scrivono gli autori dello studio sul Journal of Applied Ecology, le valutazioni dell’impatto sulla biodiversità «spesso si verificano dopo che un sito di sviluppo è già stato selezionato, perché gli studi di fattibilità tendono a concentrarsi sull’aspetto economico».
La mappa che individua i “punti sensibili”
Non è la prima volta che si realizzano mappe per individuare i “punti sensibili” per l’avifauna, dove il rischio di folgorazione e collisione è maggiore. Un esempio è la Sensitivity Map del progetto BirdLife International, che si concentra sulla zona della Rift Valley e del Mar Rosso, un’area particolarmente frequentata dagli uccelli migratori. Questa mappa, però, non include informazioni utili ai fini del progetto, ad esempio l’altezza di volo.
Questi e altri dati sono invece impiegati per la prima volta in uno studio pubblicato ad aprile, a prima firma di Jethro G. Gauld della University of East Anglia di Norwich. Gli autori hanno raccolto i dati dei tracciati Gps di 1.454 uccelli di 27 diverse specie migratorie in Europa, nel Mediterraneo e in nord Africa, deducendone rotte, distribuzione e comportamento. Si è tenuto conto anche dell’altezza di volo, appunto, che può variare in base a condizioni atmosferiche, morfologia del territorio e caratteristiche tipiche della specie. Tutti gli uccelli che volano tra i 10 e i 60 metri da terra sono stati considerati a rischio di collisione con le linee elettriche, dal momento che la maggior parte degli impianti corrisponde a quell’altezza. Nel caso di un impianto eolico onshore, che può avere pale lunghe 60 metri, la zona di rischio individuata è compresa tra 15 e 135 metri dal suolo.
Inoltre, lo studio ha tenuto conto di altri fattori specifici che possono portare un uccello a scontrarsi più o meno facilmente con un’infrastruttura, come l’apertura alare, il peso, il tipo di visione (periferica o binoculare), l’abitudine all’attività notturna e anche lo stile di volo. Incrociare tutti questi dati con quelli relativi alla presenza di linee elettriche di trasmissione e fattorie eoliche ha permesso di individuare con precisione i “punti sensibili” per l’avifauna.
Considerando l’intera area studiata, il 13,6% è stata classificata ad alto rischio per gli impianti eolici e il 9,4% per le linee di trasmissione. Oltre la metà di queste zone ad elevata vulnerabilità si concentra tra Germania, Spagna, Francia, Polonia e Turchia. Le specie più a rischio di collisione con le turbine eoliche sembrano essere il gufo reale (Bubo bubo), il cigno selvatico (Cygnus cygnus), la spatola bianca (Platalea leucorodia), la gru (Grus grus) e l’oca lombardella maggiore (Anser albifrons).
Come mitigare l’impatto sull’avifauna
Costruire nuovi parchi eolici e linee elettriche non pericolose per l’avifauna significa dunque, prima di tutto, evitare le zone ad alto rischio, magari perché si trovano proprio lungo una rotta migratoria. Nel caso delle linee elettriche, realizzarle interrate e non aeree azzererebbe il pericolo di elettrocuzione. Nel caso di quelle già esistenti, invece, può essere utile rivestire con materiale isolante le parti che potrebbero folgorare gli uccelli, rendere le strutture più visibili per l’avifauna e installare dissuasori e deviatori di volo.
Non mancano le strategie di mitigazione nemmeno per gli impianti eolici. La marcatura delle pale ne è un esempio, e lo scopo è quello di renderle facilmente individuabili dall’avifauna in avvicinamento. Uno studio del Norwegian institute for nature research del 2020 ha mostrato che colorando le pale di nero la mortalità annuale degli uccelli si è ridotta di oltre il 70%. Altre proposte percorribili riguardano lo spegnimento temporaneo degli impianti durante il picco della stagione migratoria, come avviene in Giordania, o l’introduzione di radar e telecamere che possano monitorare gli uccelli in tempo reale.
La situazione in Italia
In Italia l’impatto sulla biodiversità degli aerogeneratori è da tempo oggetto di approfondimenti. E i vincoli ambientali sono diventati gradualmente più stringenti. Già dieci anni fa, l’Associazione nazionale energia del vento (Anev) e Legambiente hanno istituito l’Osservatorio nazionale eolico e fauna e redatto un protocollo che suggerisce come pianificare ed eseguire le operazioni di monitoraggio di avifauna e chirotterofauna (i pipistrelli) sui siti eolici.
Tra gli interventi di mitigazione c’è, appunto, l’evitamento delle zone di intense rotte migratorie, oltre all’uso delle migliori tecnologie disponibili per non impattare negativamente sull’ambiente (l’interramento degli elettrodotti, ad esempio).
Terna, il gruppo proprietario della rete di trasmissione nazionale italiana dell’elettricità in alta e altissima tensione, dichiara invece di studiare da anni l’interazione tra elettrodotti e avifauna, con l’obiettivo di mettere in campo soluzioni efficaci per la conservazione di quest’ultima. L’impegno della società è prima di tutto quello di monitorare la situazione e quantificare l’esatta entità del problema, ad esempio usando appositi dispositivi (chiamati bird strike indicator) che permettono di contare tutte le collisioni degli uccelli effettivamente avvenute. Oltre a questo, da anni il gruppo installa dissuasori – quelle spirali plastiche che si vedono spesso sulle linee elettriche – che hanno lo scopo di segnalare all’avifauna la presenza delle funi.