Dieci turbine alte 100 metri piantate nella rada esterna del porto di Taranto, dieci rotori da 126 metri di diametro in grado di produrre 30 MW di energia verde, un risparmio di 730mila tonnellate di CO2 in 25 anni. Beleolico dovrebbe diventare operativo già nei primi mesi del 2022 e sarà il primo parco eolico offshore del Mediterraneo.
L’energia prodotta la largo delle coste tarantine «rappresenta una pietra miliare nel mondo delle rinnovabili, un segnale fondamentale per la transizione energetica in Italia», dice Andrea Porchera, responsabile delle relazioni istituzionali di Renexia, l’azienda che sta curando il progetto. «La realizzazione di questo campo eolico è la dimostrazione che un nuovo approccio, sostenibile ed efficace, alla produzione di energia è possibile. Siamo i primi a realizzarlo nel Mar Mediterraneo e da questo punto di vista ci poniamo come first mover e confidiamo che il nostro esempio contribuisca a incentivare la produzione di energia pulita grazie alle nuove tecnologie offshore».
L’eolico, come le altre rinnovabili, giocherà un ruolo fondamentale nel percorso verso la decarbonizzazione. Ma al momento pesa ancora troppo poco sulla produzione totale di elettricità.
I dati Terna mostrano che la potenza eolica installata in Italia al 30 giugno 2021 è di quasi 11 GW, cioè poco più del 7,5% della produzione nazionale, con circa il 90% degli impianti eolici concentrato nel Sud e nelle isole (per motivi legati alla produttività dei siti, cioè al vento a disposizione).
«Nei piani che l’Italia ha inviato a Bruxelles per indicare il suo percorso verso la decarbonizzazione, la produzione di energia dall’eolico dovrebbe raddoppiare da qui al 2030, fino ai 20 GW: si tratta di aggiungere 1GW ogni anno», dice a Linkiesta Simone Togni, presidente dell’Associazione nazionale energia del vento (Anev, riunisce oltre 2mila soggetti tra produttori e operatori dell’energia elettrica ricavata da fonti eoliche).
In realtà i traguardi previsti dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima sono già stati ritoccati: la riduzione della metà delle emissioni al 2030 è stata aumentata al -55%, quindi l’aumento di produzione dovrebbe essere ancora più rapida. Ma l’attuale ritmo di crescita non permetterà di raggiungere gli obiettivi, dal momento che dal 2019 è stato installato appena 1 GW e oggi abbiamo appena 3 GW in più rispetto al 2012.
«In termini di risorse, spazio e tecnologia, il potenziale per raggiungere gli obiettivi ci sarebbe», dice Togni. «I nostri studi – prosegue – dimostrano che l’Italia potrebbe arrivare a produrre fino a 26 GW dall’eolico a terra, a cui va aggiunto un potenziale tra i 5 e i 10 GW dall’eolico offshore che non è presente nelle analisi perché sta diventando una realtà solo adesso, almeno per noi».
Ma non sempre chi vuole investire nelle rinnovabili ha un percorso facile davanti a sé. Da anni i panorami tagliati dalle pale eoliche agitano i comitati del no, che frenano la spinta ambientalista di chi vuole puntare sull’eolico, o il fotovoltaico – cioè in fonti di energia che hanno bisogno di molto spazio, e inevitabilmente modificano l’aspetto di un territorio.
Le aziende dell’eolico, però, hanno un giudizio unanime su quale sia l’ostacolo numero uno ai loro progetti: il ministero della Cultura e le Soprintendenze.
Nel 70% dei casi il rallentamento per l’installazione degli impianti fotovoltaici e di energia eolica è causato dalle Soprintendenze. E i vincoli paesaggistici, al momento, tengono in stallo 3 GW di impianti rinnovabili anche se hanno la Valutazione di impatto ambientale favorevole.
«Normalmente ci vogliono quattro anni e nove mesi, di media, per l’approvazione dei progetti sull’eolico», dice il presidente dell’Anev Simone Togni. È la burocrazia italiana che funziona come un buco nero e fa sparire le cose che vi finiscono nei paraggi. «La stessa Soprintendenza spesso suggerisce di fare ricorso al Tar, perché poi tanto il ricorso si vince. Solo che il ricorso dura 4 anni, a cui vanno sommati i tempi necessari per ottenere l’autorizzazione: significa che al momento di costruire un parco eolico la tecnologia scelta è già vecchia», spiega Togni.
Ecco dunque che l’offshore può diventare una soluzione in grado di cambiare la prospettiva della produzione di energia pulita: il primo vantaggio riguarda proprio l’occupazione del suolo. O meglio, il suolo che non viene occupato.
Anche per questo motivo a giugno il ministero per la Transizione ecologica ha dato il via libera per la presentazione dei progetti offshore e in poco tempo ha ricevuto 39 manifestazioni di interesse. I progetti sono localizzati perlopiù al Sud, nel basso Adriatico dal lato della Puglia, nello Ionio, nel Canale di Sicilia e attorno alla punta meridionale della Sardegna; poi c’è un nucleo di sette proposte collocata tra Sardegna e Toscana; un altro al largo dell’Emilia-Romagna.
«In mare aperto – dice Andrea Porchera di Renexia – ci sono venti più forti e costanti che consentono di utilizzare turbine più potenti e quindi generare energia in maniera più efficiente. L’impiego di tecnologie innovative, inoltre, consente la creazione di una filiera industriale nazionale, capace di porsi all’avanguardia anche a livello mondiale, con indubbi vantaggi per il nostro sistema imprenditoriale e per la creazione di manodopera altamente qualificata».
A proposito di tecnologie innovative, in Italia dovrebbe nascere anche il primo parco eolico offshore galleggiante – in gergo si usa il termine floating – nel Canale di Sicilia. È un altro progetto guidato da Renexia, che sta usando questa tecnologia anche al largo delle coste americane.
«Il progetto Med Wind rappresenta il primo parco offshore galleggiante di grandi dimensioni, avrà 190 turbine. La tecnologia floating viene riconosciuta da tutti gli esperti a livello mondiale come una tecnologia game changer, capace di rivoluzionare radicalmente il settore delle rinnovabili», dice Porchera.
Una volta a regime, l’energia generata da Med Wind, per una potenza pari a circa 2,8 GW, contribuirà all’equivalente spegnimento di tre centrali clima alteranti e all’abbattimento del costo della bolletta per i siciliani di circa 100 milioni l’anno.
La tecnologia offshore galleggiante incontra, inoltre, il favore delle principali associazioni ambientaliste perché rappresenta un’alternativa efficiente e sostenibile per la produzione di energia green. Le strutture fisse sono possibili fino a una certa profondità (30 metri circa), quindi devono stare vicino alla costa. E intralciano altre attività, come la pesca, il turismo, la navigazione da diporto.
Le soluzioni galleggianti possono stare più lontane, così non solo possono sfruttare venti più forti, ma sono anche meno visibili da terra: questo limita le proteste dei detrattori delle pale eoliche installate a terra.
Ovviamente anche i progetti offshore presentano delle criticità. Intanto richiedono tempi di progettazione particolarmente lunghi, con complesse fasi di rilevazioni e analisi marine per l’installazione di impianti che occupano aree grandi anche centinaia di chilometri quadrati. E la manutenzione richiede apparecchiature specifiche, materiali anticorrosione e altre attenzioni.
Poi c’è la parte strettamente tecnologica, che riguarda soprattutto i progetti galleggianti più distanti dalla costa: maggiore è lo spazio da coprire con i cavi e maggiore sarà l’elettricità dispersa nel tragitto. «La criticità principale è quella relativa alla connessione alla rete», spiegano dall’Anev. «Impianti eolici offshore a distanze significative dalle coste – concludono – sono impianti di grandi dimensioni: se quelli onshore producono circa 30-40 MW ognuno, un parco offshore floating dovrebbe produrre quasi dieci volte tanto. In questo caso la qualità della connessione a terra fa la differenza nell’efficienza produttiva di un impianto: per questo è fondamentale anche che lo Stato investa per potenziare la rete elettrica nazionale».
Non a caso, Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede una spesa di 23,78 miliardi di euro per il settore delle rinnovabili, divisa in vari ambiti di intervento. Tra questi c’è anche il potenziamento e la digitalizzazione delle infrastrutture di rete: l’obiettivo è migliorare affidabilità, sicurezza e flessibilità del sistema energetico nazionale, aumentando la produzione di rinnovabili. Forse non sarà decisivo, ma è di sicuro un primo passo per favorire gli investimenti nel settore.