Il culto della morte e altri nichilismiLa Russia è fascista, baby (più chiaro di così non c’era)

Gli autoritarismi che l’Europa ha conosciuto all’inizio del secolo non sono mai finiti del tutto, in questi mesi il regime di Putin lo sta ricordando al mondo intero. E se dovesse vincere la guerra, scrive Timothy Snyder sul New York Times, gli altri leader estremisti ne usciranno rafforzati

AP/Lapresse

Da quando è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina si fa un uso – forse abuso – di termini come «fascismo» e «nazismo». Il primo è stato proprio Vladimir Putin, nel suo discorso che ha dato il via all’aggressione il 24 febbraio: ha detto di voler «denazificare» il Paese vicino, un riferimento poi ripreso per indicare i soldati di Kiev, il battaglione Azov, ma anche la politica e la cultura ucraina.

Dall’Occidente sono arrivare critiche speculari. Recentemente il segretario alla Difesa del Regno Unito Ben Wallace, in un discorso al National Army Museum di Londra, ha detto che attraverso l’invasione dell’Ucraina Putin, il suo inner circle e i suoi generali stanno riprendendo il fascismo e la tirannia di 70 anni fa, ripetendo gli errori dei regimi totalitari del secolo scorso.

Lo ha detto proprio il 9 maggio, cioè il giorno in cui in Russia si celebra la vittoria contro il Terzo Reich: «L’attacco non provocato e illegale dell’Ucraina, gli attacchi contro i cittadini innocenti e le loro case, le atrocità diffuse anche deliberatamente contro donne e bambini, corrompe la memoria dei sacrifici passati e la reputazione globale – un tempo orgogliosa – della Russia».

È evidente che il regime di Mosca non sia poi così distante, per modi, metodi e narrazione, dagli autoritarismi di un secolo fa. Il culto della violenza e dell’irrazionalità di quelle dittature non è morto, non è stato cancellato.

«Sbagliamo se pensiamo di poter limitare le nostre paure del fascismo a una certa immagine di Hitler e dell’Olocausto: il fascismo era di origine italiana, era popolare in Romania e aveva seguaci in tutta Europa e in America. In tutte le sue versioni, si trattava del trionfo della volontà sulla ragione. Il fascismo fu sconfitto sui campi di battaglia della Seconda guerra mondiale, ma ora è tornato e questa volta il Paese che ha voluto una guerra di distruzione fascista è la Russia. Se dovesse vincere la Russia, i fascisti di tutto il mondo ne usciranno più forti», ha scritto Timothy Snyder sul New York Times.

Negli anni Venti del Duemila può essere difficile stabilire cosa sia fascismo e cosa no, d’altronde l’humus culturale, sociale, politico, economico in cui germogliò quello del Novecento sono distanti. Ma la Russia, sostiene Snyder, soddisfa una quota sufficiente di criteri per poter essere definita fascista: ha un culto del leader unico e assoluto, Vladimir Putin; ha un culto della morte che richiama la Seconda guerra mondiale; ha il mito di un’età dell’oro, a una grandezza imperiale da restaurare con una guerra.

Ci sono poi altri punti di contatto tra la storia e la cronaca degli ultimi giorni. Quando nel 1941 Adolf Hitler si propose di invadere l’Ucraina, aveva in mente una campagna militare molto semplice e diretta: pensava che l’Unione Sovietica – che all’epoca governava l’Ucraina – fosse uno stato ebraico, progettò di prendere il suo posto e rivendicare per il Terzo Reich suolo agricolo dell’Ucraina. Immaginava che sarebbe stato facile perché l’Unione Sovietica, secondo lui, era una creazione artificiale e gli ucraini un popolo coloniale. Oggi il Cremlino vede l’Ucraina come uno Stato artificiale, e accusa il suo presidente – Volodymyr Zelensky, ebreo – di non essere in grado, o meritevole, di governare quel territorio.

Alcuni non vogliono inquadrare la Russia di oggi come fascista perché, diversi decenni fa, l’Unione Sovietica di Iosif Stalin si definiva antifascista e fu fondamentale – al fianco di americani, britannici e altri alleati – contro la Germania nazista e i suoi alleati nel 1945.

Ma guardando nel dettaglio, l’opposizione di Stalin al fascismo fu decisamente più opportunistica che ideologica. Qualunque manuale di storia ricorda che nel 1939 l’Unione Sovietica strinse un patto con la Germania nazista – rendendola un alleato de facto – prima dell’invasione della Polonia. E poi, per mesi, i discorsi nazisti furono ripresi anche dalla stampa sovietica. Solo che oggi il Cremlino nasconde tutto sotto il tappeto della sua propaganda: le leggi russe hanno criminalizzato anche la memoria storica della guerra, sostituendola con il mito dell’innocenza russa, della grandezza perduta, del vittimismo, fino al culto della vittoria.

L’accondiscendenza di Stalin sul fascismo – almeno per un certo periodo – è una chiave di lettura indispensabile per comprendere la Russia oggi. «Sotto Stalin, il fascismo era considerato prima indifferente, poi un nemico, poi andò bene di nuovo fino all’invasione dell’Unione Sovietica da parte della Germania. Era una scatola in cui si poteva mettere qualsiasi cosa: durante la Guerra Fredda, gli americani e gli inglesi vennero indicati come fascisti, e a un certo punto il presunto antifascismo di Stalin ha preso di mira gli ebrei, fino a equiparare Israele alla Germania nazista», scrive Snyder nella sua ricostruzione.

Dopotutto, l’antifascismo sovietico si poteva sintetizzare in una politica “noi contro loro”. Ma la ricerca e la definizione di un nemico a tutti i costi, come diceva lo stesso filosofo e pensatore tedesco Carl Schmitt (uno che ne 1933 era iscritto al partito nazionalsocialista), è la base della politica fascista.

Nella Russia del XXI secolo, Putin ama definirsi antifascista in modo puramente strumentale, per poter dichiarare fascista o nazista il suo nemico, chiunque si opponga ai suoi progetti: l’Ucraina deve essere «denazificata» perché non accetta di essere russa, anzi osa opporsi.

«Un viaggiatore del tempo degli anni ’30 non avrebbe difficoltà a identificare il regime di Putin come fascista: il simbolo Z, le manifestazioni, la propaganda, la guerra come atto di pulizia della violenza e le fosse della morte intorno alle città ucraine rendono tutto molto chiaro. La guerra contro l’Ucraina non è solo un ritorno al tradizionale campo di battaglia fascista, ma anche un ritorno al linguaggio e alla pratica tradizionali fascisti, e la guerra come risposta», scrive Snyder.

Iniziare a riconoscere il fascismo quando lo vediamo aiuta a capire con chi abbiamo a che fare. Ma riconoscerlo non basta, non basta per annullarlo. Va contrastato, annullato dimostrando la debolezza del leader e dei suoi metodi e delle sue argomentazioni.

Di contro, se la Russia dovesse vincere in Ucraina, non sarà solo la distruzione di una democrazia con la forza: sarà una demoralizzazione per le democrazie ovunque. Già prima della guerra, gli amici della Russia – che rispondono ai nomi di Marine Le Pen, Viktor Orban, Matteo Salvini – erano i nemici della democrazia.

Le vittorie sul campo di battaglia del fascismo confermerebbero che il potere fa ragione, che la ragione è per i vinti, che le democrazie devono fallire. E se l’Ucraina non avesse resistito, questa sarebbe stata una primavera oscura per i democratici di tutto il mondo. «Se l’Ucraina non vince, possiamo aspettarci decenni di oscurità», si legge sul New York Times. Allora forse è il caso di riprendere la frase con cui Snyder apre il suo articolo di opinione: il fascismo non è mai stato sconfitto come idea. E questa è la parte più preoccupante.

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