Milano NoirQuell’incredibile rapina al Brera Bridge

Una banda di criminali, una bisca clandestina e uno scagnozzo troppo furbo (o troppo stupido?) che sceglie di disobbedire al capo. Sono gli ingredienti del racconto di Piero Colaprico, ambientato negli anni della mala

di Monica Silva, da Unsplash

La rapina al Brera Bridge, ragazzi, e chi se la dimentica. Bridge. Ma quale Bridge? Era una bisca clandestina. Brera? Eh no, non parlo del quartiere degli artisti, dei pittori e dei poeti. Un’altra Brera. Nella nostra c’erano le hostess, avevano la minigonna e le canottierine e portavano da bere ai clienti. Un posto elegante, tavoli verdi lisci come tette. Si giocava a chemin de fer e alcuni croupier si erano fatti le ossa nei veri casinò. Le guardie del corpo? Bastardi armati, li conoscevamo tutti. Banditi. Come noi. Solo di un’altra batteria.

Quando Francis Turatello decide di conquistare il club Brera Bridge ovviamente mi chiama: ero il suo uomo di fiducia. Per prima cosa, ci serve un’idea per superare la porta blindata. E ce l’ho io. Andiamo in viale Abruzzi, ha il negozietto un barbiere che se la tira da coiffeur. Ogni pomeriggio andava lì a farsi bello bello il Ciorlina, un portiere di notte con il vizio del gioco. Lo acchiappiamo, lo carichiamo in macchina e partiamo verso Brera. In un’auto c’è pure Graziano Mesina, il bandito sardo. Era appena evaso da Lecce e ovviamente era venuto da noi, che comandavamo Milano.

«Mettigli in testa un parrucchino e facciamolo divertire», aveva detto detto Francis, ma quello non sapeva ridere, né stare tranquillo. Era massiccio e pelato e ficcava il naso dappertutto.

Abbiamo fucili, pistole e una bomba a mano. Posteggiamo in piazza Formentini. A fare il palo, all’esterno, resta il mio amico Gianni Scupola. Io curo l’ostaggio, il Ciorlina suona il campanello, il portiere, che è armato, lo riconosce e lo fa passare, con un calcio spalanchiamo la porta, diamo un fracco di mazzate a chiunque ci sbarra il passo e siamo dentro.

Aveva un vocione, era alto e grosso, Francis. È il boss. Prende la bomba a mano, la picchia sul tavolo verde e dice: «Banco».

Chi urla, chi sviene, ma noi manco un plissé: «Questa è una rapina, se fate come diciamo nessuno si farà male. Altrimenti siete leggermente morti».

E la rapina comincia, senza la minima fretta. Le donne stanno tutte insieme in una stanza e nessuno torce un capello, agli uomini della gang togliamo le armi, poi Francis prende un Borsalino dall’attaccapanni e lo piazza su un tavolo verde: «Adesso, uno ad uno, venite qui e ci mettete soldi, gioielli, orologi, tutto quello che vale. Non fate i furbi, vi avviso, se no».

Sotto lo sguardo di noi armati, comincia la processione e non si riempie solo un cappello, ne servono altri tre.

A un certo punto, compare in mezzo a tutti una piramide di pellicce e quadri in movimento. La vedo muoversi tra la gente. Ma no! È Graziano Mesina, avanza e sbuffa sotto quel mucchio. Anche il parrucchino sembra una pantegana morta per lo sforzo di essersi arrampicata sulla crapa pelada.

«Ma che minchia fai?», gli chiedo.

«Aiutami no?, porto via le pellicce e tutto questo ben di dio…».

«Ma lassa sta, barbun».

Era il re del Sopramonte, ma non aveva ancora capito la situazione. Cioè, ma dai, in Sardegna sono indietro di cottura rispetto alla mentalità da manager che abbiamo noi criminali di Milano. I soldi veri non si fanno con le pellicce rubate nelle bische…

La rapina è durata ore, non ne potevo più, finché Francis finisce di chiacchierare con un cliente speciale, l’Alfredo, un capomafia che stava là a giocare e che ovviamente nessuno di noi ha toccato. Cerca in giro qualcuno con lo sguardo cattivo, quel qualcuno sono ovviamente io.

Mi chiama con un cenno. Mi appoggia la manona sulla spalla e si rivolge ai rapinati: «Avete fatto i bravi o avete fatto i furbi?».

Nessuno fiata più, scende un silenzio carico di pericolo e paura, quasi cambia l’odore del posto, certamente non pochi diventano pallidi e smunti, la folla dei rapinati cambia colore.

«Tebano», mi dice Francis. Tebano è il mio soprannome.

«Tebano, adesso li perquisisci tutti. E se trovi uno che si crede un genio, me lo dici, e me lo porti qua, che gli tagliamo un dito!», ordina ed estrae un coltello a scatto, con un manico di madreperla.

Sempre a me questi lavori, penso, e comincio la perquisa. Uno, a posto. Due, a posto. Tre…

Il terzo mi guarda trattenendo il fiato e le lacrime, in tasca ha un Rolex.

Penso in fretta. Penso positivo. Lo fisso un secondo, quel cretino della Brianza maledetta e velenosa, abbronzato e con il fazzolettino nel taschino. Perfetto, se non fosse per il pomo d’Adamo che gli va su e giù come l’ascensore per il patibolo. E decido di far finta di niente.

«Uè, hai paura del Tebano, e fai bene, è il mio killer», dice Turatello.

Il brianzolo sta per buttarsi in ginocchio e implorare pietà, ma gli sussurro un «Levati dalle scatole» e passo agli altri.

Quattro, cinque, sei, perdo il conto di quelli che palpo, saranno oltre cento, e trovo ancora qualcosa: banconote, un anello con il brillocco, un altro orologio. Non importa, continuo a far finta di niente. E penso: povero me, se Francis mi scopre, non mi taglia il dito, ma l’uccello.

«Tutto a posto Tebano?!».

«Apposto, boss».

«Bene», dice lui.

Chiude la molletta, cioè il coltello, ed estrae dalla tasca un pacco di biglietti da visita. C’è scritto “Circolo amici della pittura”.

Pittura? Ma dai? Come al Brera Bridge non si gioca a bridge, così nell’altro posto non ci sono acquerelli e pastelli, ma sempre tavoli di chemin de fer. Quanto all’amicizia, beh, è un lungo discorso quello dell’amicizia tra gangster: «Se non volete essere rapinati – dice Francis alla folla, giocherellando con la bomba a mano – non venite in posti di merda come questo, ma venite da noi, nessuno vi torcerà un capello, sarete sicuri e abbiamo champagne migliore, io bevo solo Kristal».

Anni dopo, quando m’ero già pentito, ho raccontato questa storia a un cornuto di giornalista e quello s’è messo a ridere. E io quasi quasi m’incazzavo, poi ho capito: «Voi non lo sapevate, ma siete stati degli innovatori. Vi siete fatti pubblicità. Quello è il primo esempio di advertising del crimine».

L’Advertising non so bene cos’è, ma quel giornalista aveva ragione: Turatello era il più sveglio di tutti e diceva che con i morti non si fanno affari…

Però io avevo… io non avevo… insomma, c’era un ordine del capo e io non avevo obbedito. Era un’omissione. Cioè, io sono abituato alle omissioni dei poliziotti, che si girano dall’altra parte, e mi avevano detto che rischiavano, e li dovevamo pagare profumatamente, per tutte le omissioni d’atti d’ufficio a nostro favore. Ma un gangster che fa omissione con il capo assoluto… Ma dove s’è visto?

Solo in un posto: al cimitero.

E così, una sera che al ristorante festeggiavamo la conquista delle bische e Francis veniva incoronato re del gioco d’azzardo, mi avvicino: «Francis, sai, quel giorno al Brera Bridge».

«Eh, dai, sì, sì, adesso pensa a bere, a festeggiare, guarda che belle ragazze che abbiamo al tavolo…».

«Francis, per favore, la rapina».

«Eh, ma che vuoi? E allora?»

«Quel giorno, Francis, tu hai messo il capello sul tavolo…».

«Me lo vieni a dire a me che cosa ho fatto? Vai al sodo…».

«Uhm, Francis, va bene, al sodo. Quando mi hai detto di perquisire le persone, io l’ho fatto e…».

Non mi venivano più le parole, avevo la gola secca.

«Eh?!”, dice Francis e mi scruta dentro, come se leggesse ogni pensiero.

«E qualcosa ho trovato, capo, ma…».

«Ma?»

“Ma non te l’ho detto…».

Francis si fa scuro scuro: «Hai omesso di dirmelo…».

«Francis, sì…».

Vedo la sua manona che si alza, chiudo gli occhi e mi arriva una pacca sulla spalla da ammazzare un bue e Francis, Francis…ride. Ride sempre più forte, si girano tutti, e tutti ridono con lui, e io non capisco.

«Tebano, ascolta, perché ho mandato te a perquisire i dannati?».

«Francis, sono confuso, non lo so…».

“Pensa, magari mandavo il tuo amico Turi, altro terun come te, o Grazianeddu, e quelli che facevano?».

«Francis…».

«Bravo, Francis, Francis, guarda che abbiamo trovato! E per un anellino magari mi toccava fare una strage. Io ho mandato te perché tu sei».

«Io sono?».

«Intelligente…».

La rapina è avvenuta tra il 27 e il 28 novembre 1976. L’ho sentita raccontare con le mie orecchie dal Tebano in un ristorante di Roma, dove c’eravamo incontrati. Non tutte le omissioni vengono per nuocere. E ormai lo sappiamo. Francis, quintessenza del gangster alla milanese, ci ha lasciato un proverbio. Un proverbio della strada: con i morti non si fanno affari.

Piero Colaprico leggerà alcuni suoi scritti il 10 giugno a Milano al Cinema Mexico all’evento “Canto popolare” insieme a Pacifico e Luca Simonetta Sandri cui seguirà il concerto del Coro di Novi e dei Flexus. L’inizio è alle ore 21 (qui le prenotazioni). L’iniziativa rientra nel quadro della Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi.