Maledetto Nord!La Lega ha perso anche la sua roccaforte (e ora non sa che cosa fare)

La débâcle in varie città settentrionali palesa il problema. Salvini anziché con sé stesso se la prende con i filo governativi (tanto per continuare a sbagliare sempre tutto)

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Maledetto Nord! È una sintesi brutale, ma rende bene l’idea del risentimento che ha preso i nervi dei leghisti che in questa parte del Paese sono nati e cresciuti fino a espandersi al centro e al sud per due anni, a cavallo del 2018. Matteo Salvini è disperato: questo Nord lo ha tradito a favore del partito che più centralista non si può, quello di Giorgia Meloni che marcia veloce nella corsia di sorpasso.

Vabbè, la scusa del crollo dei consensi sarebbe che la Lega paga per la scelta di essersi imbarcata nella grande coalizione con la sinistra e i Cinquestelle (e non per gli errori da lui commessi). Mentre Fratelli d’Italia galoppa stando all’opposizione.

Il capo del Carroccio si difende attaccando i suoi ministri, i draghiani. Ma come, sostiene Salvini, non c’era chi diceva che i ceti produttivi volevano la Lega al governo? Non dicevano che sarebbe stato da irresponsabili rimanere fuori da un esecutivo guidato dal migliore che ci fosse in giro? Sono questi i ragionamenti del leader riecheggiati al Consiglio federale all’indomani del voto amministrativo. A quella riunione mancava Giancarlo Giorgetti, il capofila di quella Lega che spingeva per l’unità nazionale e definiva Draghi un «fuoriclasse come Ronaldo che non può stare in panchina».

Lo vogliono i ceti produttivi e i commercianti del nord, ripetevano in coro anche i governatori Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, lo vogliono tutti quei piccoli e medi imprenditori dei ricchi distretti produttivi della Lombardia e del Veneto. Ma i numeri che Salvini aveva sul telefonino mentre parlava a via Bellerio erano diversi. Erano numeri impietosi.

Lombardia. A Lodi l’umiliazione: vince al primo turno il candidato democratico venticinquenne Andrea Furegato, battendo la sindaca uscente del Carroccio Sara Casanova. La Lega passa dal 14,2% del 2017 al 9,95%, mentre Fratelli d’Italia dal 2,19 al 9%. A Monza la Lega crolla dal 14% all’8%; Meloni cresce dal 3,8 al 12,9%. A Como il Carroccio si ferma a 6% (nel 2017 era al 10,6%), mentre Fratelli d’Italia balza dal 4,6% al 12,8.

Nel Veneto di Luca Zaia una débâcle. A Verona i leghisti si fermano al 6,5; Meloni dal 2,3% raggiunge la doppia cifra (11,7%). In più il pugno nello stomaco: al ballottaggio va, molto in vantaggio, l’ex calciatore Damiano Tommasi, sostenuto dal centrosinistra, e Salvini, per far vincere il sindaco uscente Federico Sboarina, si è dovuto umiliare, scrivendo una mail di complimenti all’arcinemico ed ex leghista Flavio Tosi arrivato terzo (nel 2015 lo aveva cacciato dal partito perché non aveva accettato la candidatura di Zaia a governatore del Veneto). A Padova nel 2017 le liste della Lega e quella del supergiorgettiano Massimo Bitonci totalizzavano il 36%: domenica scorsa il baratro del 7,4%; Fratelli d’Italia va all’8,2%.

Piemonte. Nella città del capogruppo Alessandro Molinari, cioè Alessandria, Fratelli d’Italia è il primo partito del centrodestra con il 14,8%, partendo dal 2% di cinque anni fa mentre il Carroccio si ferma all’10,5%.

Si potrebbe andare avanti così, con il disastro leghista in varie città del nord produttivo (Genova è una queste), ma queste cifre bastano per dimostrare come il Carroccio sia stato mollato da un vasto elettorato e, secondo Salvini, dai mitici ceti produttivi che storicamente sono stati la colonna vertebrale del partito del nord. Adesso è in caduta libera anche al centro e al sud, mettendo seriamente a rischio il progetto della Lega Nazionale su cui l’ex ministro dell’Interno aveva puntato tutto. Il quale ora accusa chi lo avrebbe spinto a imbarcarsi con il “Ronaldo” della politica, trovandosi con un pugno di mosche in mano.

In un’intervista al Corriere della Sera alza la posta. «Il governo deve fare di più altrimenti delude i ceti produttivi che una volta erano entusiasti di Draghi. Il risultato è che i nostri elettori preferiscono stare a casa». Spiega di essere entrato nel governo per non lasciarlo in mano al Partito democratico e ai Cinquestelle. E aggiunge l’antifona: «Ora quei dirigenti e militanti, compresi Giorgetti e Fedriga che credevano in Draghi, mi dicono di riflettere. Sì, i mugugni ci sono stati al Consiglio federale e di tutti nei confronti del governo. Giorgetti protesta giustamente perché la messa al bando delle auto a benzina e a diesel sarà un massacro per l’industria italiana».

Attende risposte entro l’estate, Salvini. E sul prato di Pontida il 18 settembre tirerà le somme. Per quella data vuole risposte sulla pace fiscale e le 16 milioni di cartelle esattoriali che stanno partendo, sul superamento della Fornero con quota 41, sulla difesa del potere acquisto.

Vedremo se a Pontida annuncerà l’uscita dal governo per raggiungere Meloni all’opposizione a otto mesi dal voto delle Politiche. Vedremo dove sarà arrivata l’asticella dei consensi della Lega. E soprattutto quanto sarà tirato il cordone sanitario del commissariamento attorno alla sua segretaria, di cui avevamo parlato su Linkiesta prima delle amministrative.

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