Basta che funzionino I cittadini russi iniziano a sentire il peso delle sanzioni occidentali

L’economia di Mosca è più in difficoltà di quel che ammette il Cremlino e gli effetti adesso sono percepiti anche dai consumatori. C’è maggior propensione al risparmio a causa della perdita di potere d’acquisto, il mercato del lavoro è bloccato e le prospettive a lungo termine sono ancora peggiori

AP/Lapresse

Embargo sul petrolio, limitazione dell’importazione di gas, banche svuotate. Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina non c’è giorno che passi senza una discussione, un tavolo, un vertice tra Paesi occidentali per decidere come colpire il Cremlino sul fronte economico, per tagliare le gambe all’offensiva del suo esercito.

Unione europea, Stati Uniti, Canada e altri alleati occidentali lavorano dal giorno uno della invasione per colpire Mosca. Eppure alcuni indicatori sembrerebbero dire che il Paese governato – comandato – da Vladimir Putin non sia in grossa difficoltà: le entrate derivanti dalle esportazioni di petrolio e gas non si sono di certo fermate; la disoccupazione è rimasta intorno al 4%, ben al di sotto dei picchi raggiunti durante la pandemia; l’inflazione rallenta. In più, in un Paese in cui gran parte dei lavoratori lavora per lo Stato, la maggior parte dei russi non ha subito cambiamenti drammatici nella vita quotidiana.

Queste sono le uniche informazioni che Mosca vuole far circolare. Non dice però che l’inflazione è ancora ai massimi degli ultimi due decenni, ben oltre il 17%, così l’aumento del 10% delle pensioni e del salario minimo annunciato da Putin non basta a compensare la perdita di potere d’acquisto.

Molti cittadini russi infatti iniziano ad accusare il colpo delle sanzioni. Lo ha raccontato il Financial Times in un articolo firmato da Polina Ivanova, che segue Russia e Ucraina per il quotidiano britannico: «Le sanzioni e gli embarghi commerciali occidentali stanno lentamente penetrando nell’economia russa, portando chiusure dei negozi e interruzioni delle catene di approvvigionamento».

La quotidianità, la vita di tutti i giorni, per le strade delle città russe – spiegano le persone sentite dal quotidiano economico – non sembrerebbe cambiata più di tanto. «Se non accendi il telegiornale, potresti facilmente avere l’impressione che non stia succedendo nulla», dice al Financial Times Tatiana Mikhailov, economista che vive nella capitale russa.

Ma è una percezione solamente superficiale: le offerte di lavoro sono praticamente sparite nonostante i dati sulla disoccupazione siano rimasti stabili; la piattaforma di reclutamento online HeadHunter ha rilevato un calo del 28% nel numero di posti di lavoro offerti ad aprile rispetto al mese di febbraio; gli annunci di lavoro in marketing, PR, risorse umane, management e banche sono scesi tra il 40 e il 55%. Anche il numero di persone in congedo – cioè in licenza temporanea dei dipendenti dovuta a esigenze speciali di un’azienda o di un datore di lavoro – è aumentato da 44mila di inizio di marzo a 138mila di metà maggio.

Dal mondo del commercio al dettaglio arrivano altre indicazioni: a Mosca i negozi che vendono anche brand stranieri occupano circa il 40% degli spazi di vendita al dettaglio nei grandi centri commerciali e circa il 15-20% dei locali nei centri commerciali di Mosca sono ora chiusi.

«La mancanza di beni importati sta cambiando le abitudini di consumo dei russi», si legge sul Financial Times. «È difficile dire esattamente fino a che punto siano diminuite le importazioni, poiché le autorità russe hanno smesso di pubblicare dati. Ma utilizzando invece i dati di 20 dei maggiori partner commerciali della Russia, gli economisti dell’Institute of International Finance hanno stimato che le importazioni ad aprile sono diminuite del 50% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente».

Il commercio con il mondo esterno è precipitato, i consumatori ormai sono riluttanti a spendere, anche perché l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità inizia a comprimere i bilanci delle famiglie.

E le prospettive, soprattutto per le aziende russe più piccole, sono piuttosto grigie, pur non avendo tutte le informazioni necessarie perché non ci sono molti dati ufficiali e il Cremlino ha detto alle aziende che non sono più obbligate a riportare i bilanci ufficialmente.

«Pochissime aziende vogliono creare una strategia o pianificare contratti a lungo termine su larga scala in questo momento», ha detto a Reuters Anastasia Kiseleva, partner di una piccola società di pubbliche relazioni a Mosca. «Le imprese, soprattutto quelle più piccole, saranno impegnate nella pura sopravvivenza, senza sviluppare o creare nulla di nuovo».

Un’indicazione importante arriva dai sulla riscossione dell’Iva sui beni nazionali. Secondo il ministero delle Finanze, le entrate Iva – che riflettono la spesa dei consumatori – sono diminuite del 54% ad aprile rispetto all’anno precedente.

Dopo settimane, mesi di dichiarazioni ottimistiche venerdì scorso il ministro dell’Economia russo, Maxim Reshetnikov, ha affermato che c’è stata una «crisi della domanda» nella spesa delle imprese e dei consumatori.

Queste difficoltà vanno inserite in un contesto reso ancor più complesso dalla guerra. Il Cremlino sta ovviamente foraggiando una campagna militare che eserciterà enormi pressioni sul bilancio: lo stesso ministro delle finanze Anton Siluanov venerdì ha dovuto dichiarare che Mosca ha richiesto «enormi risorse finanziarie per l’operazione militare speciale».

Molti cittadini sono già entrati in “modalità sopravvivenza, in modo molto simile a quanto accaduto circa trent’anni fa, al crollo dell’Unione Sovietica. «Il pieno impatto sulla produzione economica e sui posti di lavoro dal ritiro delle imprese occidentali, dalle case automobilistiche alle banche – si legge ancora su Reuters – deve ancora essere visto. L’impatto vero e proprio delle sanzioni si sentirà ancora più nettamente nei prossimi mesi».

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