Clienti pagantiCome India e Cina stanno finanziando la guerra di Putin attraverso il petrolio

Dall’inizio dell’invasione 290 petroliere hanno lasciato la Russia per l’Asia, mentre in tutto il 2021 erano state appena 190: Nuova Delhi e Pechino sfruttano i prezzi più bassi per i Paesi che non applicano sanzioni internazionali verso Mosca, aumentando le importazioni in un momento in cui i prezzi globali dell’energia sono in aumento

AP/Lapresse

L’India, la Cina e altre nazioni asiatiche si stanno rivelando una fonte sempre più vitale di entrate per la Russia, intenzionata a trovare altri clienti a cui vendere il petrolio messo sotto embargo dall’Europa.

Dall’inizio della guerra in Ucraina, precisamente tra il 24 febbraio e il 2 giugno, 290 petroliere hanno lasciato la Russia per l’Asia, come riferisce un’analisi Nikkei relativa ai dati raccolti da Refinitiv. Nello stesso periodo, l’anno scorso, le petroliere partite per il continente asiatico erano state in tutto 190.

India, Cina e Turchia sono i Paesi che hanno fatto registrare gli incrementi maggiori: nel caso dell’India le importazioni di petrolio russo via mare sono aumentate di 8 volte, quelle della Cina del 70%, mentre le importazioni della Turchia sono cresciute del 54%.

Secondo la società di ricerca Kpler, a maggio, la Cina ha importato 1,09 milioni di barili al giorno dalla Russia via mare, mentre l’India ha importato 740mila barili. Un aumento significativo se paragonato anche solo al mese di aprile, quando Pechino e Nuova Delhi avevano importato rispettivamente 910mila e 284mila barili.

Le medie relative al 2021, nel complesso, erano 725mila barili al giorno per la Cina e appena 36mila per l’India. Ci sarebbero anche circa 800mila barili al giorno di greggio russo che arrivano in Cina via terra, ma è una direttrice che esisteva già prima dell’invasione russa dell’Ucraina.

«C’è da considerare – ha affermato Davide Tentori di Ispi – che il petrolio è più fungibile del gas, il quale necessita di gasdotti, a meno che non sia gas naturale liquefatto. In secondo luogo, il petrolio russo a causa dell’embargo che scatterà a fine anno, e del fatto che i Paesi occidentali hanno già fortemente ridotto gli acquisti, è soggetto a un prezzo più basso, perché è scontato di 35 dollari al barile rispetto al Brent». Tale circostanza rende in petrolio russo più appetibile per i clienti che non stanno sanzionando Mosca.

L’incremento delle importazioni di Nuova Delhi supera certamente quello di Pechino. L’India ha inghiottito quasi 60 milioni di barili di petrolio russo quest’anno, rispetto ai 12 milioni di barili importati in tutto il corso del 2021: il terzo maggior consumatore di petrolio al mondo importa dall’estero quasi l’80% del suo fabbisogno.

Ma fino allo scoppio della guerra in Ucraina, il Paese importava pochissimo dalla Russia: il petrolio proveniva soprattutto da Paesi del Medio Oriente – ovvero da Iraq, Arabia Saudita ed Emirati –seguiti da Stati Uniti e Nigeria. Solo il 2% delle importazioni indiane totali di petrolio arrivava dalla Russia. Nuova Delhi ha quindi approfittato dei prezzi scontati per aumentare le importazioni in un momento in cui i prezzi globali dell’energia sono in aumento. Agli Stati Uniti non sono piaciuti gli acquisti dell’India, ma hanno dovuto riconoscere di non poter fermare tale flusso perché non sono previste sanzioni secondarie per i Paesi che fanno affari con Mosca.

Un report pubblicato il 13 giugno dal Centre for Research on Energy and Clean Air, think tank finlandese indipendente, informa che Mosca, nei primi 100 giorni dell’invasione dell’Ucraina, avrebbe guadagnato 93 miliardi di euro grazie alle esportazioni di combustibili fossili, nonostante un calo dei volumi registrato nel mese di maggio: una fonte di entrate fondamentale per finanziare la macchina bellica russa e la brutale guerra in Ucraina, perché costituiscono quasi il 40% del bilancio federale.

La Cina ha incrementato le importazioni, acquistando energia da Mosca per circa 12,6 miliardi di euro. La Repubblica Popolare ha sorpassato la Germania, e forse questo è il dato più interessante dello studio, diventando così il primo importatore di combustibili fossili russi.

I dati pubblicati dall’organizzazione mostrano tuttavia che la Germania resta fortemente dipendente dall’energia russa, in particolare dal gas naturale. La riduzione della domanda e il prezzo scontato del petrolio russo sono costati a Mosca una cifra vicina ai 200 milioni di euro al giorno durante il mese di maggio.

In generale, a maggio l’Unione europea ha tagliato le importazioni di energia dalla Russia di oltre 100 milioni di euro al giorno, guidata dalla Polonia, che prima della guerra era un grande acquirente di petrolio e gas russi, ha spiegato il Centre for Research on Energy and Clean Air. Al contrario, Francia, Belgio e Paesi Bassi hanno acquistato più gas naturale e petrolio sui mercati spot nello stesso mese.

La maggior parte dei combustibili fossili russi viaggia su navi europee. Poiché il petrolio russo viene spedito sempre più spesso verso mercati lontani, è necessaria una capacità di navi cisterna maggiore, e questo particolare rivela la grande vulnerabilità di Mosca. Nei due mesi di aprile e maggio il 68% delle consegne di greggio russo è stato effettuato con navi appartenenti a società dell’Unione eruopea, del Regno Unito o della Norvegia – le sole petroliere greche che ne trasportavano il 43%.

Per le consegne in India e Medio Oriente, la quota è stata addirittura superiore all’80%: quasi tutte le petroliere battevano bandiera di Regno Unito, Norvegia o Svezia.

L’Unione europea ha già deciso di rendere la vita difficile agli altri acquirenti vietando agli assicuratori europei di garantire la copertura assicurativa alle navi che trasportano petrolio russo, pensando in particolare all’Asia. Il bando, contenuto nel sesto pacchetto di sanzioni, entrerà in vigore tra 6 mesi e molto probabilmente il Regno Unito adotterà presto delle misure simili.

Sebbene Cina e India siano molto interessate al greggio russo venduto a buon prezzo, potrebbero non riuscire ad assorbire tutta la produzione che il Paese attualmente destina ancora all’Europa, sia perché hanno contratti a lungo termine con il Medio Oriente a cui difficilmente rinuncerebbero, sia a causa delle discrepanze nel processo di raffinazione.

Il reindirizzamento del gas naturale russo, invece, richiederebbe la costruzione di gasdotti estremamente lunghi o porti specializzati come quello dell’isola russa di Sakhalin, costose infrastrutture e capacità di trasporto da costruire nell’arco di anni.

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