Cereali e denariL’aiuto dell’Ue all’Africa nella battaglia per il grano

L’Unione europea insiste per sbloccare le esportazioni ucraine e promette supporto economico, anche per evitare ripercussioni interne. Il presidente dell’Unione africana ringrazia, ma sottolinea che a pesare sulla crisi sono anche le sanzioni

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Nessuna missione nave per scortare nel Mar Nero le navi cariche di cereali dall’Ucraina, ma un’accelerazione sulle vie commerciali alternative e un (probabile) flusso di denaro comunitario. Sono le risposte che emergono dal Consiglio europeo alla questione della sicurezza alimentare, una delle conseguenze di più ampia portata dell’invasione russa dell’Ucraina. I Paesi a subire il contraccolpo peggiore sono quelli africani e proprio il presidente dell’Unione africana, Macky Sall, è intervenuto in videoconferenza alla riunione dei 27 Capi di Stato e di governo europei, il giorno dopo l’accordo in extremis raggiunto su un embargo quasi totale al petrolio russo.

Il sostegno all’Africa
È destinata all’Africa una buona parte delle venti milioni di tonnellate di grano ferme nei porti dell’Ucraina, che l’Unione europea punta a fare uscire dal Paese. A questo proposito, oltre a chiedere alla Russia la fine del «blocco navale» sulle derrate alimentari, i 27 rappresentanti dei Paesi dell’Ue concordano sulla necessità di accelerare le cosiddette «Solidarity Lanes», rotte alternative che includono tratte ferroviarie, per portare i carichi nei porti europei e da lì imbarcarli. Un timbro di approvazione al piano presentato di recente dalla commissaria ai Trasporti Adina Vălean.

Mentre il governo di Kiev apre a una operazione internazionale per sminare le sue acque e scortare il passaggio dei cargo commerciali, i leader nazionali non hanno discusso un’idea che era stata anticipata dalla stampa spagnola nei giorni scorsi: quella di una missione navale europea per condurre in sicurezza i bastimenti carichi di cibo.

Per l’Africa ci saranno, invece, i soldi: la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Ha spiegato che 2,5 miliardi di euro sono già stati impegnati per fronteggiare i rischi di carestia nel continente e altri potrebbero arrivarne presto dall’European Development Fund, lo strumento principale di cooperazione allo sviluppo dell’Unione. I governi nazionali «invitano la Commissione a esplorare la possibilità di impiegarne le riserve», che verrebbero utilizzate in sostegno dei Paesi subsahariani.

Collaborazione, con precisazione
L’Unione ha ribadito anche il supporto ai programmi alimentari internazionali già esistenti: l’iniziativa Farm (Food and Agriculture Resilience Mission), lanciata insieme all’Unione africana e al G7 lo scorso marzo per sopperire alla crisi di approvvigionamenti dal’Ucraina e quelle delle Nazioni Unite di creare un’alleanza globale che garantisca la sicurezza alimentare. 

A discutere il tema c’era anche Macky Sall, presidente del Senegal e dell’Unione africana. Il messaggio comune è l’impegno a una collaborazione per trovare soluzioni a quella che si annuncia come una crisi su larga scala, vista la grande dipendenza del continente africano dai cereali russi e ucraini.

Lo scambio di vedute è servito a capire come istituire una collaborazione efficace tra le due unioni di Stati, ha spiegato in conferenza stampa il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Senza nascondere una preoccupazione che deve aver condiviso con i Capi di Stato e di governo: la crisi alimentare può provocare «delle tensioni gravi, con impatti possibili anche in Europa». Per scongiurare ogni rischio, servono misure volte sia ad aumentare la produzione in loco che a facilitare l’arrivo di rifornimenti.

Macky Sall ha spiegato ai suoi omologhi europei che con lo scoppio del conflitto, i fertilizzanti sono tre volte più cari in Africa e le rendite cerealicole nei Paesi africani scenderanno quest’anno di una quota compresa tra il 20% e il 50%. Un grosso problema per una parte di mondo che già soffre la fame: 282 milioni di persone denutrite, secondo le stime della Fao citate dal presidente senegalese, a cui si aggiungono altri 46 milioni a rischio a causa delle conseguenze della pandemia da Covid19.

Per fronteggiare queste carenze, sono già state adottate iniziative volte a incrementare la produzione locale, come un piano di investimenti d’urgenza che ammonta a un miliardo e 500 milioni di dollari. Ma l’Africa ha anche bisogno di sbloccare le scorte ferme nei porti ucraini, circa 40 milioni di tonnellate in totale secondo i calcoli della Commissione europea

Un’operazione necessaria «per evitare lo scenario catastrofico di carenze e aumenti generalizzati dei prezzi», l’avvertimento di Sall, anche lui sostenitore del piano dell’Onu per le esportazioni «protette» dal porto di Odessa. Sul tema, tra l’altro, è previsto per la prossima settimana un viaggio del presidente del Consiglio europeo Charles Michel a New York, per incontrare il Segretario generale António Guterres. 

Dal leader africano, però, non arrivano solo ringraziamenti ai politici europei e promesse di collaborazione. Nel suo discorso c’è pure una critica, pur indiretta, alla alle politiche sanzionatorie decise nei confronti della Russia. I Paesi dell’Ue sono soffrono infatti gli effetti collaterali dell’esclusione di alcune banche russe dal sistema di pagamenti Swift, cominciato con il terzo pacchetto di sanzioni comunitarie nel marzo 2022. «Anche se i prodotti ci sono, i pagamenti sono diventati complicati, se non impossibili». Nel testo consegnato alla stampa, poi, si sottolinea la forte dipendenza africana dai prodotti non solo ucraini ma anche russi, mentre non si legge nessuna condanna diretta nei confronti di Mosca.

I vertici dell’Unione europea, al contrario, hanno sempre attribuito soltanto al governo russo i problemi nelle filiere alimentari globali. Resta da vedere quanto questa narrativa sia condivisa dall’altra parte del Mediterraneo. Alcuni Paesi dell’Unione africana si sono astenuti nella risoluzione dell’Onu che condanna l’invasione militare, con l’Eritrea che ha persino votato contro. Il viaggio annunciato da Ursula von der Leyen per incontrare il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi potrebbe essere l’occasione per sondarne la posizione sul tema.