Riuso sconosciutoLa scarsa diffusione del vuoto a rendere in Italia è (anche) un problema politico

Nel nostro Paese riutilizziamo meno del 10% delle bottiglie di vetro messe in commercio, quando alcuni Stati del nord Europa superano il 70%. Il valore è così basso perché mancano le infrastrutture e le iniziative dall’alto. Mentre parlamentari, amministratori locali e ministri si accordano, le imprese possono (e devono) aprire nuove strade

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Un caso significativo che racconta come l’aumento dei prezzi stia avendo ripercussioni su consumatori e aziende è quello dei produttori di birra tedeschi: come si legge in un recente articolo sul New York Times, devono non solo fare i conti con la bolletta del gas aumentata del 400%, con quella della luce salita del 300% e con un rincaro dell’orzo mai visto prima, ma anche con la grave carenza di bottiglie di vetro per la birra (il cui prezzo è notevolmente cresciuto). 

Nonostante i produttori di birra tedeschi si procurino le bottiglie in diversi Paesi europei come la Francia e la Repubblica Ceca, la chiusura delle fabbriche in Ucraina e l’impossibilità di importare da Russia e Bielorussia li ha fatti piombare in una seria crisi. Una crisi che sta coinvolgendo soprattutto quelle aziende che non si sono garantite dei prezzi fissi, a causa di contratti di fornitura di lungo termine. Queste società hanno registrato degli aumenti dei costi superiori all’80%. 

Ma non è solo un tema di bottiglie nuove. In Germania i produttori di birra possono contare su un sistema consolidato per la raccolta delle bottiglie usate: il consumatore paga otto centesimi in più per i vuoti che gli vengono restituiti quando riporta indietro la bottiglia, tant’è che la stima dell’associazione di categoria indica circa quattro miliardi di unità disponibili. Il fatto, però, è che i tedeschi tendono a tenerle in casa molto a lungo.

Se il caso tedesco riguarda molto da vicino i birrai che si sono ritrovati a dover avviare una campagna social di sensibilizzazione per chiedere ai consumatori di restituire il vuoto in tempi rapidi, in Italia sono diversi i settori che devono occuparsene. In primo luogo, il comparto produttivo del prodotto che è il traino del Made in Italy nel mondo, cioè quello del vino sul quale gravano sia la penuria di materie prime – dal vetro per le bottiglie ai cartoni per gli imballaggi, passando per le carte speciali per le etichette – sia i costi per i trasporti e per l’energia. Anche il settore delle conserve è a rischio: in questo momento, sono soprattutto le aziende che producono passata di pomodoro a ritrovarsi senza contenitori. 

Sia tra i primi (vino) sia tra i secondi (conserve) vi è chi indica tra le soluzioni possibili proprio quella di recuperare il vuoto a rendere, che in Italia è una pratica poco utilizzata: secondo il ministero dell’Ambiente, riutilizziamo solo meno del 10% delle bottiglie di vetro messe in commercio contro il 70% di altre Nazioni del nord Europa. Il valore è così basso perché mancano le infrastrutture necessarie sia per la raccolta delle bottiglie, sia per il loro trattamento.

Eppure, i vantaggi del deposito cauzionale sono di varia natura. Primariamente rende i consumatori più consapevoli e impegnati: un aspetto che impatta positivamente non soltanto sui contenitori a cui normalmente è applicato, ma che può conferire maggiore attenzione anche nel trattare ogni tipo di scarto e rifiuto. Secondo il rapporto internazionale “What we waste”, ogni anno in Italia si sprecano 7,3 miliardi di contenitori (119 pro-capite). 

Il vuoto a rendere ha altre ricadute positive che si sono registrate in tutti i Paesi in cui è applicato in modo strutturato. Quella più evidente riguarda il fenomeno del littering, cioè dell’abbandono dei rifiuti nelle aree pubbliche e – più in generale – del loro smaltimento non corretto, che cala sensibilmente proprio in virtù dell’attribuzione di un valore economico a ogni singola bottiglia. A tutto vantaggio anche degli animali che smettono di cibarsi di questi rifiuti. 

Oltre alla sua valenza ambientale, il vuoto a rendere ne ha anche una sociale di un certo rilievo, osservata e seguita con interesse particolare in Germania: sono le persone meno abbienti a trarre più vantaggi andando a cercare bottiglie disperse, raccogliendole per ottenerne la cauzione. 

Un sondaggio lanciato dell’Associazione dei comuni virtuosi evidenzia che l’83% degli italiani intervistati sarebbe favorevole alla reintroduzione del deposito cauzionale. Oltretutto per certi prodotti sarà necessario perché dobbiamo raggiungere gli obiettivi dell’Unione europea che, per quanto riguarda la plastica, impongono una raccolta per il riciclo del 90% entro il 2030. Ma senza le corrette iniziative politiche sarà difficile arrivarci. 

Da un lato, il vetro è stato scelto dall’Onu come materiale dell’anno: ha 5.000 anni di storia alle spalle e si presta perfettamente a un moderno approccio di economia circolare. Se raccolto e differenziato correttamente, può essere riciclato infinite volte senza compromettere la qualità del prodotto finale, risparmiando energia e materie prime (e abbattendo le emissioni di gas serra). 

Dall’altro, diventa materia di studio di una cantina produttrice di prosecco del trevigiano, che sta valutando contromisure per creare dei centri di raccolta che possano permettere al vetro di essere riutilizzato in prossimità dei luoghi dove è avvenuto il consumo, mettendo a disposizione delle cantine locali le bottiglie da riutilizzare (con il conseguente risparmio del carburante e del trasporto). 

Se l’iniziativa venisse sposata da molti altri produttori, il risultato sarebbe ben maggiore. Non mi stancherò mai di dirlo: mentre la politica si accorda, le imprese possono e devono aprire nuove strade.

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