Sapere e sentire Registrare (e conservare) un suono che non esisterà più, quello dei ghiacciai

Catturare il lamento dell’Adamello in fusione, posizionando quattro registratori bioacustici, di solito usati per il monitoraggio della fauna, in altrettanti punti della lingua del Mandrone: è il progetto del sound artist Sergio Maggioni, mosso dal senso di angoscia per lo scioglimento dei giganti di ghiaccio

I ghiacciai italiani stanno scomparendo e la crisi climatica causata dalle attività umane ha oltremodo accelerato la loro ritirata: secondo le stime, è probabile che entro il 2050 sopravvivranno solo quelli sopra i 3.500 metri di quota. Quasi tutti conosciamo questi e altri dati relativi al problema, a maggior ragione dopo che il crollo sulla Marmolada del 3 luglio ha riacceso l’attenzione mediatica sul tema. Ma sapere è un conto: sentire è tutta un’altra storia. 

Il progetto artistico, divulgativo e di ricerca “Un suono in estinzione” si occupa proprio di questo: fare in modo che tutti possano sentire con le proprie orecchie che rumore fa la fusione di un hiacciaio, nello specifico quello dell’Adamello. L’idea è di Sergio Maggioni, ricercatore e sound artist camuno, in arte NEUNAU, con alle spalle diverse esperienze di ricerca artistica e sonora incentrate sul rapporto tra uomo e natura.

Localizzato tra Trentino-Alto Adige e Lombardia, il massiccio montuoso dell’Adamello ospita il più vasto ghiacciaio delle Alpi italiane. O meglio, quello che ne rimane. Nel 1875 l’alpinista inglese W.D. Freshfiled lo descriveva così: «Il vasto nevaio centrale alimenta ghiacciai che scendono da ogni lato. Le vette più alte, come il Carè Alto e l’Adamello, sono solo piccole elevazioni sul bordo dell’altopiano. Viste da vicino sembrano quasi degli scogli ghiacciati, ma da lontano appaiono come nobilissime montagne che precipitano con grandi pareti racchiuse fra due ghiacciai sulle selvagge valli che salgono fino ai loro piedi». 

Dai tempi di Freshfiled il ghiacciaio dell’Adamello ha più che dimezzato la sua estensione e, come rilevato dalla seconda edizione della Carovana dei ghiacciai di Legambiente, solo tra il 2016 e il 2021 ha perso altri 10-12 metri di spessore. Secondo uno studio dell’Università di Padova del 2020, se il ghiacciaio continuerà a ritirarsi e ad assottigliarsi al ritmo dell’ultimo secolo lo vedremo sparire entro il 2060. Se invece manterrà la velocità di contrazione degli ultimi tre anni, gli diremo addio già nel 2031.

«Leggere i dati sul ritiro totale o quasi del ghiacciaio dell’Adamello ha innescato in me un senso di perdita e di angoscia», racconta Maggioni. E proprio da queste emozioni negative è nata l’urgenza di dare vita a un’idea che aveva in mente da tempo: registrare i suoni dei ghiacciai alpini, a partire dall’Adamello. «È il più vicino a me geograficamente: sono della Valle Camonica, quindi ho frequentato fin da piccolo queste montagne. Volevo creare un progetto che fosse in grado di aggiungere un tassello, anche emotivo, alla narrazione dei cambiamenti climatici».

Nel 2021 le prime registrazioni nei crepacci
La vocazione di “Un suono in estinzione” è sia artistica sia scientifica: il team include infatti professori, ricercatori e glaciologi esperti. «L’obiettivo non era solo registrare i suoni del ghiacciaio “fotografando” un singolo momento, ma documentare un’evoluzione temporale», dice Maggioni. Per questo nel 2021 sono stati montati quattro registratori bioacustici (solitamente usati per il monitoraggio della fauna) in altrettanti punti della lingua del Mandrone, la parte più bassa e maggiormente soggetta a fusione del ghiacciaio dell’Adamello, e sono stati lasciati in registrazione da luglio a settembre, 24 ore su 24. 

I dispositivi sono stati messi in punti inaccessibili, ad esempio calandoli di cinque metri dentro i crepacci. «Le registrazioni che ne sono risultate sono qualcosa che nemmeno i glaciologi esperti avevano mai sentito in maniera così dettagliata; infatti, sono emerse molte cose inaspettate e interessanti», spiega Maggioni. «Ad esempio, si sentono i movimenti di assestamento del ghiacciaio: delle onde di energia potenti che si propagano nella massa ghiacciata e generano un “movimento di suono” da un punto a un altro, che si ripete nel corso della giornata». 

Proprio uno di questi suoni è stato selezionato, tra oltre settecento proposte da tutto il mondo, tra i quattro candidati per i Sound Of The Year Awards della Bbc. «Altri suoni registrati sono meno potenti, ma molto suggestivi: danno quasi l’idea che il ghiacciaio sia un organismo». Quest’estate il team tornerà negli stessi punti dell’Adamello per ripetere le registrazioni e scoprire se ci sono stati cambiamenti a livello sonoro.

I prossimi passi: arte, scienza e divulgazione
La grande mole di registrazioni ottenute fino a questo momento – un rumore inarrestabile che un giorno provocherà soltanto silenzio – è stata e sarà usata in vari modi. Alcune parti selezionate sono ascoltabili sul sito del progetto (unsuonoinestinzione.eu) e usate in campo artistico. 

Nei prossimi mesi, ad esempio, saranno presentate due installazioni audiovisive immersive che raccontano una giornata di fusione del ghiacciaio dal punto di vista di un crepaccio a quasi 3000 metri, dove nel corso dell’estate si arriva sorprendentemente anche a temperatura di 20-25 °C. Un’altra installazione sonora estremamente suggestiva aveva inaugurato l’intero progetto nel 2021: un blocco di ghiaccio di 30 kg con all’interno una roccia, sospeso nel vuoto, che sciogliendosi gocciolava su un disco simile a un gong, facendolo risuonare. 

I dati sonori raccolti sono usati anche per finalità scientifiche, come sta già accadendo in alcuni studi attualmente in corso condotti dalle Università che collaborano al progetto. «Avendo registrato dei flussi continui possiamo capire varie cose dalla potenza sonora, che è tanto più intensa quanto più fa caldo e più il sole irradia il ghiacciaio. Sostanzialmente possiamo creare dei modelli che potrebbero essere utili per completare la ricerca sui ghiacciai». 

E poi c’è l’aspetto di divulgazione e sensibilizzazione, che può rivelarsi (più) efficace proprio perché solletica corde emotive diverse da quelle toccate da report e numeri. Quello dello scioglimento dei ghiacciai «è un tema talmente importante che è giusto che se ne parli e che venga divulgato in ogni modo. Il suono lavora su un piano completamente diverso rispetto all’immagine e può accendere una curiosità differente», conferma Maggioni. «Spero che il progetto generi un senso di urgenza e sia uno stimolo a smuoversi. È un monito non tanto al ghiacciaio in sé, ma a noi stessi: anche noi siamo un suono in estinzione». 

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