Per molti la pizza è una religione. Appuntamento fisso una volta a settimana per confessare i peccati di gola, fondamentalismo per chi rifiuta qualsiasi tipologia al di fuori della napoletana e un coro gospel per quelli che sperimentano gli abbinamenti più arditi. Una cosa è certa: qualunque sia il proprio credo, è praticamente impossibile non aver mai sentito parlare di “pizza gourmet”.
Esiste davvero la pizza gourmet?
«Pizza gourmet può significare tutto e niente. Solitamente è vista come una tipologia al di fuori dei gusti classici più conosciuti, farcita con materie prime insolite e pregiate. Purtroppo non basta mettere il pistacchio o la burrata per proporre l’eccellenza» racconta Lorenzo Sirabella, pluripremiato pizzaiolo di Dry Milano. «Oggi è un termine che non ha più senso perché sono tante le pizzerie che utilizzano prodotti di qualità e sviluppano impasti digeribili. Al Dry la “gourmet” viene semplicemente chiamata focaccia. C’è chi la definisce padellino, a teglia tonda, ma dipende tutto dalle modalità di cottura e di impasto» afferma Sirabella.
Non crede in una definizione univoca neanche Francesco Saggese: «Credo che si sia un po’ abusato del termine gourmet, utilizzandolo senza criterio. È meglio definire la pizza in base agli impasti, piuttosto che darle un’etichetta di cui nessuno conosce con esattezza il significato» sostiene il proprietario di 081, Pizzeria Verace Napoletana a Melegnano. «In realtà la pizza gourmet altro non è che una focaccia, perché l’impasto è il medesimo e i topping creativi si avvicinano molto di più al mondo della cucina che a quello della pizzeria».
D’accordo anche Denis Lovatel, pizzaiolo di montagna, che ritiene la parola piuttosto relativa: «Sembra che per fare la pizza gourmet basti mettere un salume pregiato sull’impasto e servirla a tavola già tagliata in spicchi. In realtà, insieme a tutto questo, deve esserci una profonda ricerca sul lievitato, studiato per sostenere i topping creativi, sia strutturalmente che nel gusto». La definizione di pizza dunque, può e deve essere allargata. «Un po’ come la cucina: esistono tante tipologie a seconda della tecnica e del territorio. La mia la definisco “di montagna perché racconta le peculiarità dell’ambiente alpino. È una pizza contemporanea che non etichetterei mai come gourmet» aggiunge Lovatel.
«Mi sembra un termine così poco appropriato oggi. Mi piace di più “pizza elaborata” come la chiamava mio padre» rincara Salvatore Salvo, di Pizzeria Salvo a Napoli. «Il lievitato deve essere sempre di qualità a prescindere dal nome, rispettando la stagionalità, la ricerca della materia prima fresca e la capacità del pizzaiolo di lavorarla. Oggi la pizza è così evoluta che deve offrire un’esperienza culinaria di alto livello soprattutto se legata a un territorio come quello campano, ma è importante che rimanga democratica e accessibile a tutti. Ogni pizza fatta con tecnica e ricerca è di per sé gourmet, anche la nostra Margherita, per lo studio che c’è, la scelta di prodotti e produttori, l’abbinamento di un certo tipo di olio».
In un momento in cui le etichette stanno strette, anche il mondo della pizza si apre a un nuovo vocabolario, capace di scardinare definitivamente il fumoso termine di pizza gourmet. La prima voce è “pizza napoletana moderna”, come quella di Francesco Saggese. «Ha le basi e le sembianze della campana, ma è arricchita da topping cucinati, che si trovano raramente su una pizza napoletana» racconta il proprietario di 081. «Questo perché nasco come chef e sono cresciuto professionalmente nella ristorazione di alto livello, ma per amore della mia terra e di Napoli, al fornello ho preferito il forno».
Più che la “pizza gourmet” chi vuole concedersi il lievitato italiano per eccellenza è sempre alla ricerca della qualità e non sempre questo si traduce in abbinamenti azzardati. «La richiesta del consumatore cade sempre e comunque sulla Margherita. Sono tanti coloro che preferiscono rifugiarsi in un piatto sicuro e geniale, che può sembrare semplice da realizzare, ma non lo è affatto» sostiene Lorenzo Sirabella.