Se si guida per un chilometro, dal centro di Milano, ciò che accade è che ci si trova ancora nel centro di Milano, nel suo dolce sfavillare di palazzi gialli e amaranto, accesi in un tramonto estivo. Ecco perché nella capitale della moda e del design, circondata da sempre da un anello resiliente di cascine, fiumi e terreni agricoli, il concetto di “chilometro zero” non aveva quartiere né per essere immaginato né per essere applicato. Ci voleva perciò che alla dimensione dello spazio qualcuno scegliesse di sostituire quella del tempo.
E, quando è accaduto, è nata l’idea di Horto, un nuovo ristorante e progetto culturale che dal primo settembre 2022 aprirà le porte, o meglio il rooftop del complesso The Medelan di via San Protaso 25 (a meno di cento metri dalla centralissima piazza Cordusio), già certificato leed platinum per la sostenibilità, con il suo giardino pensile e le verzure aromatiche da cui gli chef staccano il timo e il basilico per le preparazioni, con vista sulla Torre Velasca e il Castello Sforzesco, per uno spazio verde ispirato agli “horti conclusi” monastici. La location è declinata in chiave contemporanea dalla paesaggista Raffaella Colombo.
Lo spazio, quindi, lascia il palco al tempo per l’imporsi del concetto di “Ora Etica”, coniato dal ristorante al posto di “chilometro zero”. Questo nuovo parametro si trasforma nella strada e nell’impegno necessari per lasciarsi alle spalle i palazzi e andare a scovare nei dintorni – fino alle province di Bergamo e Brescia – tutti quei produttori che mettono le mani nell’acqua e nella terra vedendo lo skyline milanese all’orizzonte non appena sollevano la schiena. «E, ovviamente, il pesce di mare nel menu non c’è», puntualizza lo chef tre stelle Michelin Norbert Niederkofler, a cui è stata affidata la direzione strategica dell’offerta gourmet del locale.
Il cuoco classe 1961, originario dell’Alto Adige, è un pioniere della sostenibilità dal 2008, «quando a parlare di certe cose i colleghi mi ridevano in faccia». Nell’insegna del suo ristorante stellato, il St. Hubertus di San Cassiano in Badia, ha introdotto la filosofia “Cook the Mountain” e, coerentemente, non serve l’olio d’oliva ai commensali perché lassù le olive non ci sono, sostituendolo con un garbato nettare di vinacciolo.
In più, ha riscoperto 450 specie dimenticate di funghi ed erbe, che conserva e fermenta secondo le antiche leggi della natura: «Anche a Milano faremo qualcosa di simile», continua lo chef – vincitore anche della Stella Verde per la sostenibilità – «scovando e formando una squadra di raccoglitori (che si chiamano wooder in gergo culinario, ndr), che setacceranno le province limitrofe per trovare asparagi e fiori commestibili».
Nei giorni di prove ed esperimenti in vista dell’inaugurazione, gli chef Stefano Ferraro e Alberto Toè (saranno loro fisicamente in cucina) hanno assemblato e accostato tutte queste meraviglie di prossimità: le sarde d’acqua dolce e i lavarelli pescati a Montisola (Brescia), un imponente dorso di drago che si staglia in mezzo al lago d’Iseo, dove da quattro generazioni la famiglia Soardi getta le reti in questo specchio d’acqua pieno di storia, fascino e mistero. Dalla stessa località proviene anche la verdura degli Orti Iside, che per le coltivazioni s’ispira ai principi dell’agroecologia e dell’agricoltura rigenerativa. Realtà che, insieme agli altri produttori del territorio, verranno spinte da Horto a fare consorzio, ottimizzando i mezzi messi in strada per le spedizioni e rendendo così l’approvvigionamento meno impattante.
Quindi il riso, a sud della città. E le lumache e le carni in direzione di Bergamo. «Anche perché non è vero che acquistare direttamente dai contadini costa di più», spiega Norbert Niederkofler, che in Alto Adige ha messo insieme con pazienza un team di quaranta fedelissimi piccoli fornitori, «e le statistiche ormai rivelano con precisione che dal 40 al 60 per cento di quello che viene comprato nella grande distribuzione, a causa anche di packaging irrazionali, marcisce e viene gettato via. Mentre se ti approvvigioni alla fonte magari spendi lì per lì il 15 per cento in più, ma alla fine utilizzi tutto. E in colore e in consistenza dai al tuo corpo tutto ciò di cui ha bisogno. In più, finisce tutto nelle tasche dei produttori, che trasmettono valori e cultura. E non muovi inutilmente grandi mezzi inquinanti: questo, per come la vediamo noi, è il modo di lavorare del futuro».
Etica è anche l’acqua servita ai tavoli: non imbottigliata ma filtrata direttamente dalla rete pubblica con sistema Bwt (e per ogni bottiglia ordinata un euro andrà a sostenere progetti di beneficienza in giro per il mondo). Etico è l’orario di lavoro per i dipendenti: quaranta ore settimanali e domenica di riposo a casa, in una inconsueta scelta di chiusura settimanale.
Etico e circolare è il pavimento di legno voluto dai fondatori Osvaldo Bosetti e Diego Panizza, che insieme alla preside del dipartimento della Scuola del design del Politecnico di Milano, Luisa Collina, e allo studio Genius Loci Architettura hanno immaginato un camminamento fatto di listoni presi da vecchie acetaie. Ed etiche sono le divise indossate da chi lavora nel ristorante, realizzate con tessuti riciclati e ritinteggiati al naturale.
«Il paesaggio di Horto è caratterizzato da un rigore progettuale geometrico contrapposto a un mondo vegetale disomogeneo, dinamico e abbandonato al suo sviluppo di spontaneo», spiegano i progettisti, «per questo alcune piante, anche se moriranno, non verranno rimosse. Altre potranno essere addirittura calpestate, riflettendo così quel bel senso di confusione che darà a Milano la disarmonia e le contraddizioni del paesaggio di Horto». Un approccio allo stesso tempo angolare e silvestre, che secondo i fondatori lavorerà culturalmente anche sul concetto di luxury: «Le piante inviteranno gli ospiti a una maggiore gentilezza e a una maggiore considerazione dei “paesaggi minuti”, che richiedono una capacità di osservazione più sottile».
Per la sua traduzione metropolitana di sostenibilità, Niederkofler è ottimista, vedendoci addirittura il riflesso della cornucopia e dell’abbondanza: «Per cinque mesi l’anno, in montagna da me, non cresce davvero niente» sorride. «Per paradosso, cucinare secondo i ritmi della natura, nella temperata città di Milano sarà molto più facile».