Vivere dall’altra parte del conflitto – il lato russo – significa ogni giorno fare i conti con la propaganda, con la povertà che sale, con uno spirito grottesco da ritorno al mondo sovietico, con persone che a un certo punto cominciano a parlare con il pilota automatico, attaccando «i nazisti ucraini». Come racconta in questo articolo apparso su Air Mail la poetessa e scrittrice Katya V., il limite tra adattamento e conformismo è sempre più labile, così come è sempre più oscura la differenza tra spirito di sopravvivenza e complicità.
Le forme dell’opposizione in Russia, «a sei mesi dall’inizio della guerra criminale di Putin», sono molto cambiate. Le proteste di piazza, soffocate all’inizio con violenze e arresti, sono quasi del tutto scomparse. I loro leader imprigionati o invitati a lasciare il Paese, mentre la propaganda ha invaso ogni angolo possibile.
Il dissenso però non è scomparso, spiega, è solo meno plateale. «Passa dal sabotaggio dei binari di una ferrovia agli scioperi individuali (il cosiddetto “congedo per malattia anti-guerra”». Fino – secondo quanto dice l’ex membro della Duma Ilya Ponomarev, fuggito in Ucraina – anche all’organizzazione di attentati, come quello che ha ucciso Darya Dugina, la figlia di Dugin.
Il dissenso, insomma c’è, è diffuso e trova spazio in tutte le forme – artistiche e di comunicazione – che rimangono disponibili. Sono scritte “No alla guerra” lasciate sui muri o sulle vetrate polverose, che si oppongono alle “Z”, «il corrispettivo russo della svastica», che campeggiano sui cartelloni, oppure ore interminabili di discussioni e vere e proprie lezioni per spiegare «a vicini, parenti, colleghi e follower come funziona la propaganda e quali sono i rimedi per resistere». Ci sono anche reading, letture di poesie, mostre e spettacoli teatrali clandestini, spesso si tengono in cantine e sotterranei, «piccoli spazi sicuri che bucano la cappa del totalitarismo putiniano».
Però la situazione, soprattutto per artisti e intellettuali, è più ambigua. La guerra – e il bisogno di sostenerla con la propaganda – ha reso il regime più generoso con chi è disposto a collaborare. «Adesso c’è molto più spazio per chi è pro-guerra». Ecco allora poeti e scrittori che vanno in televisione a recitare versi anti-Nato, o con cui lamentano la follia dei governanti Ucraini. «C’è anche un nuovo sottogenere poetico, o retorico in generale, quello del non vergognarsi di essere russi».
E così, tra spettacoli e gigantografie di bambini russi del Donbass uccisi dagli ucraini, il governo cerca di soggiogare le menti dei suoi cittadini, nel tentativo di far dimenticare quanto sia peggiorata la qualità della vita. «Siamo tutti più poveri ora»: il lavoro è sempre più precario, i pagamenti si sono ridotti, i prezzi sono saliti alle stelle.
La sensazione di ritorno all’epoca sovietica è, in realtà, disturbata (e resa ridicola e postmoderna) dal fatto che «il capitalismo è ancora qui, anche se in una versione impazzita», dove i marchi occidentali che hanno chiuso (come McDonald’s) sono sostituiti da surrogati russi e i vestiti di H&M e Zara si trovano ancora online, ma costano quattro volte di più. Il mercato grigio sta esplodendo, mentre si diffonde una nuova forma di «culto del cargo, simile a quella di epoca sovietica, ma con una differenza: all’epoca i comfort del consumismo occidentale erano sconosciuti, a parte per i pochi che riuscivano a fare entrare, di contrabbando, un paio di jeans o qualche lattina di Coca-cola». Oggi è il contrario, «abbiamo avuto tutto per 20 anni» e adesso, per noi «le nostre sedie Ikea sono diventate beni di lusso da preservare e lasciare i eredità ai figli». Per non parlare dei trucchi e dei prodotti di bellezza.
In un declino rapido e inevitabile l’unico aspetto positivo è che si impara a sfruttare il più possibile tutte le cose che non sono state ancora messe al bando. Ad esempio, «parlare con le persone, tutte, anche quelle che credono alla propaganda. Cercare di capire i loro sentimenti e trovare un modo per instillare il dubbio». Si scopre così che sono tante le menzogne propinate, a tutti, fin dall’infanzia. E si impara a essere più consapevoli, forse più liberi. E responsabili.