Da quasi sei mesi le notizie in arrivo dall’Ucraina popolano le cronache quotidiane. Operazioni militari, contromisure, strategie improvvisate. Poi le ricadute, raccontate da ogni angolazione: le persone in fuga dal fronte, la crisi energetica e quella alimentare.
Le vite dei cittadini ucraini sembrano descritte solo come collettività: la paura e la resistenza, la quotidianità spezzata e la vita che riparte. È tutto troppo grande e macroscopico per raccontare il punto di vista dei comuni cittadini. Ha provato a farlo Anne Applebaum in un lungo articolo pubblicato sull’Atlantic intitolato “L’altro esercito ucraino”, in cui racconta le vite di un presente in cui tutto sembra effimero e nessuno sa cosa accadrà dopo.
L’autrice ha scelto come punto di osservazione Odessa, «una città sospesa tra grandi eventi» dove il panico che ha travolto la città a febbraio sembra ormai appartenere a un’epoca distante nel passato: in estate la città è calda, semivuota e si sta preparando per ciò che verrà dopo.
«Alcuni si stanno abituando al peggio», scrive Applebaum. «Odessa ha subito un assedio di 10 settimane da parte di tedeschi e rumeni durante la Seconda guerra mondiale, poi un’occupazione di tre anni; l’attuale sindaco, Gennadiy Trukhanov, mi ha detto che la città ora sta riempiendo i magazzini di cibo e medicine, nel caso la storia si ripeta».
L’11 luglio scorso, i servizi di sicurezza ucraini hanno catturato una spia russa che cercava potenziali obiettivi nella città; il 23 luglio le bombe russe hanno colpito i moli di Odessa.
Nella quotidianità che si sta ricreando in città i pedoni passeggiano davanti alle facciate italiane nel centro storico di Odessa e bevono un caffè sotto l’ombrellone. Ma la gente presta attenzione alla guerra, un’attenzione ossessiva e per certi versi rassegnata.
Qualcuno ha installato sul telefono un’app che fa eco alle sirene antiaeree, poi però disattiva l’audio quando partono gli allarmi: una segnale che dopo tanto tempo la paura si confonde, diventa rumore di fondo. «Il mio hotel aveva un rifugio antiaereo – si legge nell’articolo – una stanza senza finestre, ma nessuno ci andava durante i raid aerei. “Sarai fortunato o sfortunato”, mi ha detto il custode. Non ha senso cercare di sfuggire al destino».
Non tutti sono afflitti dall’apatia, dall’ansia o dalla paura. In tutta la città, studenti, contabili, parrucchieri e altri professionisti hanno aderito a quello che Applebaum definisce «un movimento sociale senza precedenti»: sono volontari che, con campagne di crowdfunding e attivismo, aiutano a spiegare perché l’esercito ucraino ha combattuto così duramente e così bene, perché un tentativo russo decennale di cooptare e assimilare lo Stato ucraino è quasi del tutto fallito, anche in una città come Odessa, in cui c’è una grande diffusione della lingua russa.
Sono queste persone ad aprire una finestra sul futuro in un paesaggio altrimenti paralizzato, in un’economia in stallo, in una città in cui nessuno può più pianificare nulla.
Un esempio è il Servizio di volontariato ucraino (Uvs) creato da Anna Bondarenko (26 anni): un’organizzazione nata per fare formazione alle persone che volevano essere volontari o promuovere il volontariato in diversi settori.
Da quando è iniziata la guerra, le richieste di adesione si sono moltiplicate. Nessuno nel team dell’Uvs ha più di 30 anni e alcuni ne hanno meno di 20. I volontari, distribuiti in tutto il Paese, hanno aiutato a distribuire pacchi alimentari alle persone che hanno perso la casa, ripulire le macerie dopo i bombardamenti e, per coloro che sono disposti a correre rischi reali, per guidare auto o autobus nelle zone di guerra e tirare fuori le persone.
Ormai la rete creata da Bondarenko è tentacolare. Anne Applebaum ha citato nel suo articolo Lisa, una volontaria di Melitopol, che all’inizio dell’invasione russa era responsabile della distribuzione di cibo in una parte della città tagliata fuori dal centro, e così è rimasta finché qualcuno di un’organizzazione partner ha chiamato Bondarenko per avvertirla che Lisa era su una lista per essere arrestata o rapita. Uvs ha aiutato Lisa ad andarsene in poche ore.
Ma il lavoro dei volontari non è solamente umanitario, va molto oltre e diventa anche parte integrante dello scontro militare. «Serhiy Lukachko, dell’Uvs, gestisce un sito web chiamato My City, che un tempo era dedicato al sostegno di eventi culturali e altri progetti a Odessa», si legge nell’articolo. «Ora lui e un collega hanno messo le loro conoscenze al servizio di una brigata dell’esercito ucraino. Attraverso il crowdfunding, acquistano giubbotti antiproiettile, uniformi extra e i suv a quattro ruote motrici che sono molto richiesti al fronte».
Gli esempi di aiuti militari non sono finiti. In molti modi i cittadini che non vanno direttamente al fronte imbracciando un fucile o facendo fischiare un lanciarazzi possono ricoprire un ruolo decisivo in una battaglia.
Dmytro Milyutin gestisce una profumeria in centro a Odessa, ma all’inizio della guerra preso un prestito per fornire sofisticati abiti militari ai soldati ucraini che combattevano vicino a Odessa: l’esercito ucraino distribuisce le divise, ma non dà i giubbotti con molte tasche appositamente disegnati per trasportare armi e kit di pronto soccorso, o gli zaini leggeri che ad esempio i soldati americani hanno in dotazione.
L’ufficio di Olexander Babich, uno storico originario di Odessa, oggi ospita mucchi di sacchi a pelo, materassini, binocoli e visori notturni acquistati grazie a donazioni: presto o tardi verranno distribuiti ai militari. Con l’aiuto di alcuni storici suoi colleghi di Kherson – che ora vivono nel suo appartamento – rintraccia, importa e distribuisce l’attrezzatura all’esercito.
Questa storia, spiega Applebaum, rivela anche un lato oscuro, da ricercare nelle storiche difficoltà e nei problemi che affliggono l’Ucraina da anni. «Se l’esercito ucraino fosse stato meglio equipaggiato, o se l’Ucraina fosse un Paese più ricco, o se non ci fosse così tanta corruzione, il movimento sociale nato in questi mesi non sarebbe stato necessario: i volontari sono emersi proprio perché i soldati ucraini non hanno kit di pronto soccorso, i cecchini ucraini non hanno le divise giuste e nemmeno lo Stato ha la capacità di distribuire queste cose».
I volontari diventano fondamentali perché lavorano nelle pieghe di un Paese che per tre decenni è cresciuto su un’impalcatura amministrativa piuttosto instabile, fragile.
C’è ovviamente anche la mano di Vladimir Putin dietro questa condizione di infinita precarietà: seguendo le orme dei leader sovietici che lo hanno preceduto, il capo del Cremlino ha sistematicamente distrutto qualunque spirito civico emerso dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
«Per impedire alle persone di organizzarsi, per convincere le persone che non ha senso fare o cambiare qualcosa, lo Stato russo e la sua macchina propagandistica hanno promosso per due decenni la paura, l’apatia e il cinismo», scrive Applebaum.
Ovviamente la partecipazione al movimento di volontariato, sebbene diffusa, non è universale. E l’Ucraina non è una nazione di santi. Non tutti stanno combattendo mettendo in gioco la propria vita per le sorti del Paese. Molti sono già andati via con scarsa intenzione di tornare.
«L’Ucraina del dopoguerra, però, sarà forgiata da chi è rimasto – si legge ancora nell’articolo – e da chi si è offerto volontario, da chi ha fatto lo sforzo di collegare fornai, tassisti e medici allo sforzo bellico: loro creeranno la cultura ucraina del dopoguerra, ricostruiranno le città e guideranno il Paese in futuro resistendo all’influenza russa, all’occupazione e a chi minaccia la loro identità. Loro sono emersi in opposizione a un’autocrazia russa che reprime la spontaneità e la creatività, e continueranno a farlo anche dopo la fine della guerra».