La fine di agosto sa sempre di una fine e di un inizio, di quel frangente di tempo in cui muore l’estate e nascono i piani per il futuro autunno. L’estate in Ucraina finisce insieme con agosto. Calano le temperature, cadono le piogge, gli alunni stringono tra le mani i mazzi di fiori tagliati freschi dalle aiuole delle mamme, vestiti eleganti per il primo giorno di scuola, che inizia il primo di settembre.
La fine di agosto sa di quel profumo di fieno che essicca sui campi, sa di prezzemolo tritato saltato in padella con i primi funghi raccolti la mattina, i porcini e le russule, sa di libri vecchi, presi nella biblioteca della scuola, che appartenevano a generazioni passate con quella lista di chi li ha presi in prestito che rimane sulla seconda di copertina, come se fosse una lista di delinquenti abituali, perché gli utilizzatori venivano giudicati per come avevano tenuto i libri. Nelle scuole sovietiche e ucraine degli anni Novanta i libri scolastici erano forniti dallo Stato.
La fine di agosto sa anche di una fine agonizzante dello stato totalitario che si sgretolava come un calcestruzzo mal gettato e sa anche di un inizio, di una nascita di una nazione indipendente che da decenni bramava l’idea della propria statualità, poi convalidata dall’ingresso nell’aula della Rada di quella bandiera gialloblù, orgogliosamente portata dai dissidenti ucraini dopo il voto parlamentare che ha proclamato la nascita dello stato dell’Ucraina. Era il 24 agosto 1991.
Un’indipendenza confermata col referendum del primo dicembre 1991 al quale il 90,3 per cento dei partecipanti ha votato per uscire dall’URSS. Come primo presidente è stato eletto Leonid Kravchuk. È stato un inizio che ha richiesto tanto impegno: scrivere una nuova Costituzione, formare le proprie forze armate e i propri servizi segreti, avviare l’economia così tanto dipendente da quella sovietica, stampare una propria moneta, scrivere e adottare le leggi sulla cittadinanza, sul testo dell’inno, sulla bandiera e sullo stemma, entrati in vigore a febbraio del 1992.
La fine di agosto sa di quella timida bambina che sta per iniziare la scuola in un paese appena nato. Anche lei, come quel paese, stava per iniziare una nuova vita. La vita dove avrebbe imparato a leggere e a scrivere, a fare i conti, a risolvere i problemi matematici per poi non scegliere affatto la matematica come mestiere. Persa tra la folla degli alunni con il suo mazzetto di fiori a ripassare la poesia imparata qualche giorno prima per recitarla davanti a tutta la scuola: «Siamo piccoli, ma siamo tutti amici, siamo una famiglia unità e la nostra madre è l’Ucraina».
Quel primo settembre 1992 non si sapeva ancora bene come organizzarsi. L’uniforme scolastica non era più obbligatoria, eppure c’era qualcuno che l’aveva indossata, forse ereditandola dai fratelli maggiori. I miei genitori avevano optato per una gonna nera e una camicetta bianca. La festa del primo giorno di scuola era comunque organizzata a modo di tutte le feste che si facevano negli ultimi decenni in Unione sovietica: tutte le classi erano in piedi raggruppate come i reggimenti militari, una dopo l’altra dalla prima all’undicesima. Prima dell’inizio della festa suonò, forse per la prima volta nel cortile di quella scuola, l’inno dell’Ucraina. La classe dei maturandi e la classe delle matricole, le classi che sempre meritano più attenzione, entravano nel cortile con la musica della marcia cosacca, messa da mio padre, per coincidenza insegnante di lingua e letteratura ucraina e organizzatore di tutti gli eventi scolastici.
Il direttore di scuola, per coincidenza mio zio e insegnante di storia, aveva fatto il discorso con i piani per il futuro anno scolastico. E di piani ce ne erano tanti: cambiare libri, parlare finalmente delle pagine storiche delle quali non si poteva parlare prima: Holodomor, il Rinascimento fucilato, i dissidenti. Dare più spazio alla letteratura ucraina, pensare che cosa fare con le lezioni di russo. C’era aria di festa, di crisantemi amari, i fiori dell’autunno, di colletti eleganti di camicie bianche, di libri vecchi e di quella poesia imparata a memoria.
La tradizione, ancora quella sovietica, voleva che alla fine della festa lo studente della classe dei maturandi prendesse sulla spalla una matricola per suonare la campanella che annunciava l’inizio dell’anno scolastico.
A quella campanella pesante, con una vite attaccata alla catena, per la prima volta è stata messa una striscia gialloblù ed è stata tolta la striscia color rosso comunista. La tenevo con una mano sola, non volevo sembrare una bambina debole mentre tutti intorno gridavano: più forte, più decisa! Volevano iniziare quell’anno scolastico più forti e più decisi che mai.
Trent’anni dopo, il 25 febbraio 2022, al posto della campanella in quel cortile risuonarono le bombe, uccidendo cinque civili, tra quelli presenti alla festa del settembre 1992. L’indipendenza dell’Ucraina, raggiunta così a fatica, era di nuovo minacciata. Da quel giorno sono passati sei mesi e l’Ucraina è ancora indipendente. Oggi festeggia la sua festa con ferite, perdite e dolore, ma con la più ferma, come non mai, consapevolezza del valore dell’indipendenza, proclamata il 24 agosto 1991.