Bisogna immediatamente fare qualcosa contro il caro energia, e almeno su questo tutti i governi dell’Unione Europea sono d’accordo. Il problema, però, è definire le misure adeguate: l’ultima riunione straordinaria del Consiglio dell’Unione europea ha evidenziato profonde divergenze sia tra i Paesi membri sia tra i 27 e la Commissione europea, chiamata ora a formulare delle proposte legislative in merito.
Dall’incontro di Bruxelles, cominciato con un minuto di silenzio per la scomparsa della regina Elisabetta del Regno Unito, non erano attese decisioni. La Commissione aveva suggerito in un documento informale cinque idee per orientare il dibattito e sondare il parere delle capitali prima di procedere.
La presidenza ceca del Consiglio ne aveva aggiunta una sesta e così sul tavolo dei 27 ministri dell’Energia c’erano: la riduzione dei consumi di elettricità nelle ore di punta, un tetto al prezzo dell’elettricità prodotta tramite fonti alternative al gas, un prelievo dei profitti delle aziende di combustibili fossili, un fondo di sicurezza per le società energetiche, il tanto discusso price cap sul gas russo e l’altrettanto controverso «disaccoppiamento» del prezzo dell’elettricità da quello del gas. Nessuno dei punti all’ordine del giorno ha trovato un consenso unanime, ma su alcuni sembra decisamente più probabile arrivare a un accordo, come emerge dall’incrocio delle fonti diplomatiche dei vari Stati.
Meno domanda per abbassare i prezzi
La riduzione dei consumi elettrici dovrebbe avvenire secondo la Commissione tramite target di riduzione obbligatori, visto che abbassando la domanda calerà anche il prezzo. Ma alcuni Stati membri sono «riluttanti», ha spiegato la commissaria all’Energia Kadri Simson, perché vorrebbero solo obiettivi volontari.
In particolare, risulta a Linkiesta dalle delegazioni nazionali, Germania, Paesi Bassi, Slovenia, Slovacchia, Irlanda, Svezia, Finlandia e Danimarca spingono per una riduzione vincolante, mentre Spagna, Polonia, Cipro e Malta si sono opposte e la Grecia ha espresso riserve. Possibile che in questo caso si arrivi a una soluzione di compromesso simile a quella adottata per tagliare i consumi di gas: riduzioni volontarie, che possono diventare obbligatorie, magari con deroghe ed eccezioni per i Paesi meno convinti.
I prelievi sugli extra-profitti
Un discreto sostegno è arrivato alle misure che prevedono prelievi sugli extra-profitti delle aziende energetiche, riguardanti due tipi di imprese: quelle che producono elettricità a basso costo con nucleare o fonti rinnovabili, oggi meno care del gas, e quelle che estraggono idrocarburi e hanno aumentato i propri guadagni grazie all’aumento dei prezzi.
Le prime, chiamate «produttori inframarginali», potrebbero subire un tetto ai propri ricavi, che dirotterebbe gli extra-profitti nelle casse degli Stati membri. Le seconde sarebbero chiamate a versare un «contributo di solidarietà», destinato a mitigare i prezzi dell’energia per i consumatori finali.
Anche su questo punto non sono mancate le divisioni. Il meccanismo di recupero delle entrate è stato sostenuto da buona parte dei 27: Germania, Grecia, Irlanda, Francia, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Spagna, Finlandia, Lussemburgo, Polonia, Slovacchia e Svezia, mentre si sono opposti Lituania, Malta, Lettonia e Paesi Bassi, questi ultimi tradizionalmente contrari a ogni intervento sul mercato.
Grecia, Germania e Spagna, poi, avrebbero insistito anche sulla tassazione dei profitti eccessivi delle società di combustibili fossili, con l’opposizione della Slovacchia. Le misure andranno studiate con parametri e regole specifiche, ma in linea di principio sembrano destinate a passare, come emerge dalle parole della commissaria Simson e del ministro dell’Industria e del Commercio ceco Jozef Síkela, che ha presieduto la riunione.
Quale tetto per il gas?
Molto più complicata la questione del tetto al prezzo del gas, cavallo di battaglia da tempo del governo italiano e per la prima volta menzionato dalla Commissione nel suo documento preparatorio della riunione. I ministri dei 27 lo citano a loro volta nel documento finale della riunione: il problema, però, è che di price cap sul tavolo ce ne sono diversi.
La Commissione vorrebbe applicarlo solo al gas proveniente dalla Russia, che al momento rappresenta il 9% delle entrate dell’Unione. Se l’obiettivo è colpire le entrate del Cremlino, ha spiegato con logica ferrea Kadri Simson, non avrebbe senso fare altrimenti. Sulla stessa linea sembrano posizionarsi la Francia e alcuni Paesi dell’Est molto ostili al governo di Mosca, come l’Estonia.
L’Italia invece propone una misura che limiti il costo d’acquisto, a una cifra indicizzata e non fissa, di tutto il gas importato tramite condutture. Questa scelta, secondo la delegazione italiana, avrebbe un impatto più significativo sui prezzi dell’energia e meno rischi per le forniture: i gasdotti, al contrario delle navi che trasportano gas naturale liquefatto, non possono dirottare altrove il proprio carico
Secondo quanto affermato dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, 15 Paesi sostengono tale posizione. Oltre all’Italia dovrebbero essere Grecia, Belgio, Irlanda, Malta, Cipro, Svezia, Croazia, Romania, Polonia, Lussemburgo, Lettonia, Lituania, Bulgaria e Slovenia. Un ipotetico schieramento maggioritario sì, ma non sufficiente a raggiungere la soglia della «maggioranza qualificata»: il 55% degli Stati membri con almeno il 65% della popolazione totale dell’Ue.
Pesa in questo caso la decisione della Germania, piuttosto defilata nel dibattito, ma chiaramente non convinta della scelta. Alcuni dei Paesi favorevoli al price cap generalizzato, inoltre, lo vorrebbero esteso a tutto il gas in arrivo in Europa, a prescindere dalle modalità di trasporto: è il caso del Belgio, dove la crescita impressionante del prezzo dell’elettricità è legata a quella del gas liquefatto che arriva via mare al porto di Zeebrugge.
Poi c’è anche chi di tetto ai prezzi non vuole proprio sentir parlare: Ungheria a parte, nessuno Stato membro si è opposto esplicitamente, ma molti hanno ricordato la necessità di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti. Alcuni, come la ministra spagnola Teresa Ribera, hanno definito il dibattito «non maturo», altri come i Paesi nordici diffidano da interventi regolatori sul mercato libero, altri ancora (Austria, Cechia e Slovacchia) rischiano grosso per la loro dipendenza dai flussi di Mosca. La stessa Commissione, che vuole limitare il costo del gas russo, teme carenze nelle forniture con una misura applicata a tutto il gas.
Non è ancora chiaro, quindi, se una qualche proposta sul tema rientrerà nel ventaglio delle iniziative ufficiali della Commissione: ma se anche così fosse, la decisione non verrà presa prima dell’incontro dei capi di stato e di governo nel Consiglio europeo di ottobre.
Le altre proposte sul tavolo
«Nulla al momento è fuori discussione» ha comunque ribadito la commissaria, evidenziando lo stadio ancora embrionale di un dibattito che rischia di durare a lungo tra Bruxelles e le capitali.
Per ogni proposta, del resto, c’è qualche obiezione. Anche la volontà di supportare le aziende del settore energetico soggette alla volatilità estrema del mercato, magari prolungando le concessioni sugli aiuti di Stato, ha incontrato le perplessità del Lussemburgo, dopo una lunga serie di Paesi favorevoli.
Accade perché i governi si schierano contro o a favore soprattutto secondo logiche di interesse nazionale. Così, ad esempio, Estonia, Polonia (che utilizza molto carbone) e Ungheria vorrebbero la concessione di più permessi nel sistema Ets, pensato per disincentivare le emissioni di gas serra. I Paesi Bassi sono contrari a ogni riforma che stravolga il funzionamento del mercato energetico, cosa che in ogni caso non sembra alle porte nonostante l’insistenza di alcune capitali.
Alla Commissione l’arduo compito di elaborare in pochi giorni le sue proposte formali, cercando di far combaciare il più possibile le diverse esigenze. E facilitare un dibattito che si annuncia complicato tanto quanto l’inverno che attende l’Europa.