«La Russia ha scelto la sua strada. Non c’è modo di tornare indietro». Le parole di Dmitry Medvedev, ex presidente russo e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione, non lasciano molto spazio all’immaginazione: questa fase della guerra è un punto di svolta nel confronto politico e militare tra Russia e Occidente, iniziato con l’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio.
In un post su Telegram, giovedì Medvedev ha scritto che il territorio orientale ucraino sarebbe stato «accettato all’interno della Russia» dopo il completamento dei «referendum», promettendo di rafforzare la sicurezza di tutta l’area. E, ha aggiunto, il Cremlino non lo farà solo con le nuove forze chiamate a raccolta da Putin, ma anche con «ogni arma russa, incluse quelle nucleari tattiche», oltre che quelle ipersoniche.
Non è certo la prima volta, in questi sette mesi di guerra, che i leader russi minacciano l’utilizzo della forza nucleare, e non sembra esserci indicazione che Mosca stia preparando gli arsenali per un attacco imminente. Ma le ultime dichiarazioni non devono essere prese alla leggera. Si tratta di commenti più espliciti che in precedenza, e il momento scelto è cruciale: la controffensiva ucraina nella regione di Kharkiv ha portato a una rapida catena di eventi, solo l’ultimo l’inizio in quattro regioni del Paese – Luhansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhia – dei cosiddetti “referendum” per l’annessione dei territori alla Russia. Scelte che rendono la minaccia nucleare – strategia definita “escalate-to-de-escalate”, in quanto prevede l’uso di piccole armi nucleari allo scopo di prevenire ulteriori attacchi – ancora più concreta.
Le votazioni, annunciate a inizio settimana, dovrebbero terminare martedì. Basate sul modello di referendum già organizzato in Crimea nel 2014, costituirebbero una formale legittimazione all’annessione delle aree – che aggiunte alla penisola sul Mar Nero farebbero perdere all’Ucraina una porzione di territorio pari a circa il 20% del Paese – già occupate militarmente: un attacco delle forze ucraine sulle regioni annesse verrebbe considerato un illegittimo atto offensivo verso la Russia stessa. «L’invasione del territorio russo è un crimine che ti consente di usare tutta la forza di auto-difesa» ha detto Medvedev. «Questo è il motivo per cui questi referendum sono così temuti a Kyjiv».
In realtà, a Kyjiv sembrano essere piuttosto convinti che il voto non avrà alcun effetto sulla situazione bellica o sulla controffensiva ucraina: «Non c’è nessun referendum. C’è un esercizio di propaganda che viene chiamato referendum», ha detto Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente Volodymyr Zelenskiy. «Non significa niente. Saranno alcune cose preparate dove ci saranno telecamere russe».
Il sindaco di Luhansk, Sergey Haidai, su Telegram ha accusato le forze russe di obbligare i residenti delle zone occupate ad andare a votare, impedendogli di lasciare l’area: «Stando alle informazioni disponibili, gli occupanti stanno creando gruppi armati per andare di casa in casa e forzare le persone a partecipare al cosiddetto “referendum”» ha detto. In ogni caso, secondo l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) questo tipo votazione non ha valore legale: non soddisfa gli standard internazionali, è contrario alla legge ucraina, le aree non sono sicure, non ci sono osservatori indipendenti e, non meno importante, molta della popolazione è scappata. È improbabile, perciò, che il risultato – quasi sicuramente a favore dell’annessione – venga riconosciuto a livello globale, esattamente come accaduto per quello in Crimea, che aveva visto il 97% dei voti sostenere l’accorpamento alla Federazione.
Il viceministro degli esteri russo Sergei Ryabkov, stando a quanto riportano i media russi, ha affermato che Mosca non ha minacciato nessuno con armi nucleari e che un confronto diretto con Stati Uniti e Nato non è negli interessi della Russia. Data la scarsa affidabilità dimostrata dal Cremlino negli ultimi mesi, non sembra irragionevole sostenere che, in ogni caso, l’Occidente debba prepararsi al peggiore degli scenari.
David Ignatius, opinionista del Washington Post, sostiene che i leader debbano pensare «con la stessa combinazione di durezza e creatività mostrata dal presidente John F. Kennedy durante la crisi dei missili di Cuba nel 1962». Una presa di posizione ferma, ma con sempre a disposizione un ventaglio di possibilità di de-escalation. Ignatius afferma che una mancata risposta a una minaccia nucleare da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati potrebbe, ad esempio, portare la Cina a una maggiore aggressività nel Pacifico e, infine, a una guerra. L’approccio moderato di Biden, animato dalla volontà di evitare ogni scontro diretto con la Russia, per Ignatius è «ammirevole, ma è anche una delle ragioni per cui Putin continua ad alzare la posta».
Secondo Matthew Kroenig, professore della Georgetown University e direttore del Centro Scowcroft per la Strategia e la Sicurezza presso l’Atlantic Council, per prevenire l’utilizzo di armi nucleari da parte della Russia in Ucraina «gli Stati Uniti dovrebbero istituire una deterrenza più chiara [scegliendo] tra minacce vaghe o esplicite, portate pubblicamente o privatamente». Nel caso in cui la deterrenza fallisse e Mosca decidesse di procedere, Kroenig afferma che Washington potrebbe «condurre un bombardamento convenzionale limitato alle basi direttamente coinvolte nell’attacco». A favore di tale opzione vi sarebbe il fatto che sarebbe ampiamente percepita come una risposta significativa, ma resterebbe comunque il rischio, forse maggiore, di una guerra tra Russia e Nato.
Visto che fare passi indietro è ormai improbabile, che Biden in questo momento appare in posizione più forte e che l’Ucraina non sembra voler scendere a compromessi, Ignatius consiglia prudenza: «Kennedy ebbe successo nella crisi dei missili di Cuba per due ragioni. Primo, mostrò che era preparato a rischiare una guerra nucleare per fermare una mossa spericolata di Mosca. Secondo, attraverso un canale segreto, ha trovato un modo salva-faccia per evitare la catastrofe finale. Biden dovrebbe studiare entrambe le lezioni».
In effetti, qualcosa di simile è avvenuto. Come riporta il Washington Post, gli Stati Uniti hanno mandato per mesi comunicazioni private a Mosca, avvertendo i leader russi delle gravi conseguenze che sarebbero seguite in caso di utilizzo di un’arma nucleare. Le fonti citate sostengono che l’amministrazione Biden stia deliberatamente portando avanti una strategia di deterrenza definita “ambiguità strategica”, in modo da mantenere vaghe e imprevedibili le minacce e non dare indizi al Cremlino su come Washington potrebbe rispondere a un attacco.
In un’intervista alla Cbs, sul possibile uso di armi atomiche Biden si è rivolto direttamente a Putin: «Non farlo. Non farlo. Cambierai il volto della guerra come niente dalla Seconda Guerra Mondiale». Staremo a vedere se il neo-Zar accoglierà l’invito.