Quale transizione energetica? Il tema dei sussidi alle fonti fossili è un fantasma nel dibattito pubblico

697,2 miliardi: sono i fondi che, nel 2021, gli Stati hanno destinato alle industrie maggiormente responsabili del riscaldamento globale. Questo numero - raddoppiato rispetto al 2020 - è la prova che siamo ancora lontani anche solo dall’immaginare un futuro decarbonizzato

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Il tema dei sussidi alle fonti fossili di energia è entrato appena nella campagna elettorale italiana, con qualche menzione d’ufficio nei programmi della coalizione di sinistra: il Partito Democratico propone prudentemente la «progressiva riduzione dei sussidi dannosi per l’ambiente», mentre Europa Verde e Sinistra Italiana e Unione Popolare chiedono la loro eliminazione. Sono menzioni però puramente performative. 

Gli impegni presi alla Cop26 di Glasgow, cancellazione di quelli inefficienti, e al G7, azzeramento al 2025, oggi sembrano invisibili per la politica italiana ed europea, come se rispettarli non fosse mai stata davvero un’opzione. Anche nella prima campagna elettorale in cui il clima è uno dei temi centrali, l’idea che esista una corposa filiera che porta fondi pubblici direttamente ai combustibili fossili, quindi alle emissioni di gas serra e al riscaldamento globale, è un fantasma nel dibattito pubblico. 

Anche per questo motivo in Italia è stato quasi ignorato un numero che invece è molto interessante, e che è una radiografia delle difficoltà della transizione energetica globale. Secondo un nuovo rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), i fondi pubblici diretti destinati ai combustibili fossili sono raddoppiati nel 2021, arrivando a sfiorare i 700 miliardi di dollari in un solo anno. 

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Per usare le diplomatiche parole di Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Aie, questo flusso è un «roadblock», un ostacolo alla lotta contro la crisi climatica: il sostegno pubblico allo status quo energetico crea un’inerzia quasi impossibile da superare per il progresso dell’energia pulita. È difficile decarbonizzare contro questo muro di fondi governativi diretti al consumo di energia prodotta da carbone, petrolio e gas. 

Il contesto è ovviamente fondamentale e pieno di chiavi di lettura: la gran parte dei 697,2 miliardi di dollari in sussidi fossili è andata a compensare l’aumento dei costi dei consumi durante la prima parte della crisi energetica mondiale, allo scopo di frenare conflitti sociali e catastrofi industriali. L’effetto raddoppio inoltre è dovuto al crollo di consumi che c’era stato nel 2020 pandemico, che aveva portato i relativi sussidi al minimo di 362,4 miliardi di dollari. 

Ora però vengono le cattive notizie, il fatto che questo dato nonostante tutto non sia normale. Innanzitutto, questo accadeva prima dell’aggressione russa dell’Ucraina e quindi è plausibile immaginare che il numero del 2022 sarà ancora più alto di quello del 2021. Inoltre il fatto che i sussidi fossili abbiano avuto questo rimbalzo così netto dopo il 2020, tornando ai livelli del 2019, dimostra due cose. 

La prima è che la transizione energetica è ancora un’illusione ottica, almeno sulla scala necessaria a rispettare i parametri dell’accordo di Parigi (rimanere ben sotto i 2°C di aumento della temperatura, siamo già arrivati a 1,2°). Il progresso delle rinnovabili negli ultimi vent’anni è stato disorganico e irregolare, ma anche indiscutibile. Il problema è che non stiamo sostituendo energia pulita a quella sporca: le stiamo solo sommando, visto che la quota globale di combustibili fossili nel mix è scesa solo di due punti percentuali in vent’anni (dall’86 all’84 per cento). 

La seconda è la strada scelta dai governi che, a fronte di una crisi tutta interna alla produzione di combustibili fossili, preferiscono lanciare soldi contro questo stallo energetico ed ecologico piuttosto che accelerare il suo superamento. È per questo che il numero 697,2 miliardi, pur con tutte le sue chiavi di lettura e le sue attenuanti, fa paura: è la prova che siamo ancora lontani anche solo dall’immaginare un futuro decarbonizzato, nonostante per Unione europea e Stati Uniti la promessa sia di arrivarci tra ventotto anni, che in termini energetici sono un tempo molto più breve di quello che sembra. 

C’è un altro dato, dentro questo studio, che fa paura. La maggior parte di questi sussidi sono stati incentivi ai consumi, ma c’è anche la quota di sostegno pubblico a nuovi progetti di estrazione, quelli che scienziati e la stessa Iea stanno implorando di non fare, e che invece hanno ricevuto 64 miliardi di dollari nel 2021, che non solo sono il doppio del 2020 (e sarebbe anche comprensibile) ma anche il 17 per cento in più rispetto al 2019. 

Infine, il segretario generale dell’Ocse, Mathias Cormann, sottolinea un ultimo aspetto importante: i sussidi non sono mai progressivi, ma privilegiano sempre chi consuma di più, quindi i redditi più alti. «L’aumento significativo dei sussidi incoraggia lo spreco, e non necessariamente raggiunge le famiglie più povere», ha spiegato Cormann nella nota di lancio del rapporto. «Abbiamo bisogno di adottare misure che proteggano i consumatori dagli impatti estremi delle forze di mercato e geopolitiche in un modo che ci tenga anche sui binari della neutralità». In questo momento, però, una prospettiva del genere sembra un miraggio.

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