First reaction, cringeTikTok e la giornata nazionale della disperazione giovanilista dei politici

Zan inaugura il canale Pd vantandosi di non essere riuscito a far approvare la “sua” legge e fa una frazione dei follower di Berlusconi. Renzi fa quello che i suoi gli hanno sconsigliato di fare e Salvini saluta tutti

Solen Feyissa, Unsplash

Alle undici arriva Silvio B., che dice «il 60 per cento di voi ha meno di trent’anni: soffro di un po’ d’invidia ma vi faccio ugualmente tanti complimenti». A mezzogiorno e mezza arriva Alessandro Z., che dice «forse alcuni di voi mi conoscono per il ddl Zan, la legge contro i crimini d’odio che è stata affossata al Senato in modo vergognoso da quell’applauso dei senatori di destra».

Alle cinque del pomeriggio, il nuovo e scintillante account TikTok del Pd conta mille follower, quello di Silvio Berlusconi 168mila. D’altra parte: comprereste uno spettacolo usato da un cantante da crociera o da uno che si presenta rivendicando il fatto di non essere riuscito a far approvare il proprio disegno di legge?

In realtà Zan e Berlusconi e Renzi (che si è aperto anche lui un TikTok ieri, giornata nazionale della disperazione giovanilista dei politici) fanno la stessa cosa, nel loro esordio sul social del momento: dicono ai giovani non che hanno il dovere di crescere, non che devono mangiare le verdure, non che devono andare in camera loro a fare i compiti e parlare solo quando sono interrogati; dicono ai giovani: io sono come voi.

Berlusconi finge di credere, come il pubblico dei ventenni, che essere nati più tardi sia un invidiabile merito, mica un handicap. Zan la butta sul colore preferito da chi ha venti o trent’anni in questo secolo: il vittimismo, il rifiuto d’ogni assunzione di responsabilità, il feticismo della fragilità. Renzi elenca meme, «per molti di voi io sono un esperto di first reaction, shock», ragionevolmente certo che il pubblico cui i meme fanno schifo (io e altri quattro) cosa pensare di Renzi l’abbia deciso ben prima ch’egli s’aprisse un TikTok.

Al cui proposito, devo scusarmi – oltre che con l’elettorato: quando ho detto ai politici di sinistra che dovevano aprirsi un TikTok, mica pensavo d’essere così egemone – con Alessio De Giorgi.

Alessio De Giorgi è il responsabile della comunicazione social di Matteo Renzi. Quando lo chiamai per scrivere quell’articolo mi disse che se Renzi, a quaranta giorni dalle elezioni, gli avesse detto che voleva aprirsi un TikTok, lui l’avrebbe sconsigliato. Se lo sono, tutti quanti, aperto a ventiquattro giorni dalle elezioni. Alessio: nessuna più di me sa che frustrazione sia quando la gente con cui lavori non ti dà retta (a quanto pare mi danno retta solo i politici di sinistra, chissà cosa dice questo di loro e di me); ti giunga tutta la mia solidarietà.

Quelli di Renzi e Berlusconi sono account a loro nome. Il video di Zan inaugura il canale TikTok del Pd, e io avrei pagato per assistere alla riunione in cui s’è deciso che si dovesse aprire con lui, che l’incipit migliore che avevano da vantare fosse un disegno di legge per cui non erano riusciti a trovare i voti (cioè: in occasione del quale hanno dimostrato di non saper fare politica).

La ragione per cui non può funzionare – per cui da quel video ottengono una frazione degli abbonati di Silvio Berlusconi, e del Silvio Berlusconi del 2022, mica di quello del 1994 – è che sarà pure assai lodevole, nell’epoca degli istrionismi, un partito fatto a forma di partito, con un logo impersonale, con un nome impersonale, con un account TikTok su cui un giorno si esibisce un deputato e un giorno un altro; sarà pure lodevole, ma non può funzionare su quelle piattaforme lì: i social o sono personali o non sono.

Se Alessandro Zan aprisse un suo canale, sul quale dire che non è lui che non sa muoversi in Parlamento, è la destra che è cattiva ad applaudire, sul quale mettere le foto di quella vacanza in cui vide il politico di destra intento in passatempi non etero, sul quale dirci se è per la Mina o per la Patty, ecco, allora funzionerebbe.

Così, è appena un po’ meglio di Calenda che ci spiega il Gattopardo, e molto sotto a Salvini che fa le dirette in cui saluta uno per uno i passanti. Se avete mai seguito la diretta d’un personaggio noto – sia esso attore, politico, o marito di influencer – sapete che la gente non sta lì perché gliene freghi qualcosa di quel che il personaggio ha da dire. Sta lì come una volta sarebbe stata dietro a Paolo Frajese salutando la telecamera per farsi vedere dai parenti a casa. Il commento più frequente, durante ogni diretta d’un famoso, è «mi saluti?». I miei preferiti sono quelli che, dopo un paio di «mi saluti?» a vuoto, si offendono. «Vabbè, allora stacco, visto che non mi caghi». Essere cagati è considerato diritto costituzionale dai cittadini del 2022, e una delle più interessanti polemiche dell’estate è stata quella contro Alessandra Amoroso, cantante accusata del crimine di guerra d’aver negato un autografo a una fan, fermandosi pure a spiegarle perché (invece di lanciare alla folla monete bollenti come avrei fatto io al suo posto).

Comunque: Salvini queste cose non le ha studiate ma le capisce istintivamente (è davvero uno di loro, non deve utilizzare il metodo Strasberg per immedesimarsi nell’elettore medio smanioso dei suoi tre secondi di celebrità). E quindi li saluta tutti, uno per uno. L’effetto è quello di Radio Bologna International, quando io e le mie compagne di classe chiedevamo Hotel California e la dedicavamo alla terza B e a tutti quelli che ci conoscono.

È quasi mezzanotte, l’ora in cui Salvini ogni sera si collega. Vado a sentire se stasera saluta il Polo delle libertà (si chiama ancora così?) e tutti quelli che lo conoscono.

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