L’alleanza tra Parigi e Berlino era ritenuta il motore dell’Unione europea, ma è in panne. Per la prima volta dal 1963, è saltato il bilaterale annuale tra i due governi. Era previsto a Fontainebleau, l’hanno rinviato a gennaio. Il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz hanno litigato su tutto: il tetto al prezzo del gas, il rapporto con la Cina, la difesa comune, i gasdotti in joint venture con la Spagna, persino le conferenze stampa. La politica italiana ha contestato per anni l’«asse» tra le due capitali: il nuovo governo ha l’occasione di farle ragionare per provare a ritrovare la stessa centralità dell’era Draghi. Non va sprecata nel lamentismo.
Le relazioni, e non è solo l’impressione degli editorialisti, sono a un minimo storico, con un tempismo reso ancora più deteriore dalla guerra (da vincere) in corso in Ucraina. Scholz e Macron si sono visti lo stesso, ma è stato un summit in miniatura. Un pranzo di lavoro all’Eliseo invece del meeting che si tiene ogni anno tra i due esecutivi, atteso perché era alla ripresa dopo la pandemia. Sono circolate voci sulla maretta di alcuni ministri della coalizione semaforo, tra cui quella degli Esteri Annalena Baerbock, per le vacanze saltate. Una scusa troppo debole in queste coordinate storiche. Infatti, è venuto fuori che mancava la sintonia su troppi dossier per arrivare a un comunicato congiunto.
A Parigi, almeno di fronte ai fotografi, i leader hanno ostentato cordialità. Sono d’accordo sulla necessità di rasserenarci sulla buona salute del loro rapporto, sono divisi su quasi tutto il resto. In una riga, all’origine della turbolenza c’è il tentativo di Scholz di muoversi da solo. L’esempio più eclatante è il piano da 200 miliardi di euro varato dal cancelliere per calmierare, ma solo nei Länder, i rincari delle bollette. Una mossa ai limiti della concorrenza sleale. Macron non era stato avvisato. Come ritorsione, si sono inceppati i canali di comunicazione tra le due potenze. Hanno smesso di aggiornarsi a vicenda. È entrata in crisi la «diarchia» alla base della governance comunitaria e di un pezzo di storia dell’integrazione europea.
La Germania si è opposta alla proposta francese di un price cap. Così, di fatto, al consiglio europeo dove il neoministro Gilberto Pichetto Fratin ha fatto da stagista a Roberto Cingolani, la misura si è arenata per l’ennesima volta, a favore di acquisti congiunti del metano. Con una dinamica da rialzo all’asta del fantacalcio, Scholz e Macron si sono contesi Pedro Sánchez per il progetto di un gasdotto che porti in Europa il gas del Nordafrica attraverso la Spagna. In questa guerra di sigle, sul «Midcat» sembra averla spuntata il «BarMar» sottomarino tra Barcellona e Marsiglia.
Poi c’è la Cina. La dipendenza tedesca verso Pechino fa ormai parte del dibattito pubblico. Il gigante asiatico è il suo primo partner commerciale: a questo interscambio si devono un milione di posti di lavoro. Ora la Cosco, emanazione del regime comunista, vorrebbe comprarsi un terzo del porto di Amburgo, il più grande del Paese. La Bmw apre in Asia una multifactory; Audi ci costruisce macchine elettriche, Airbus gli aerei. La settimana prossima Scholz volerà da Xi Jinping, Macron avrebbe gradito essere coinvolto.
Sarebbe il primo incontro con un capo di Stato straniero dopo il congresso del Pcc che ha conferito a Xi un terzo mandato e ancora più potere. Parigi teme sia troppo presto, la visita rischia di legittimare l’accelerazione autoritaria del regime. Nel 2019, ad accogliere il segretario generale del partito, Macron invitò la cancelliera Angela Merkel e l’allora presidente della commissione europea, Jean-Claude Juncker. Non gli hanno ricambiato il favore. Infine, la Francia è rimasta fuori dallo «European Sky Shield» per acquistare sistemi antimissilistici inter-operabili.
Ad agosto, gli alleati hanno disertato una prima data simbolica. Cadevano i sessant’anni dal discorso di Charles de Gaulle a Ludwigsburg. A gennaio, avranno l’opportunità di celebrare la stessa ricorrenza, ma per il Trattato dell’Eliseo, su cui si fonda la riconciliazione diplomatica tra le due nazioni. «Profonde divergenze tra gli interessi ci sono state fin dall’inizio. Sono al cuore delle relazioni franco-tedesche e possono anche essere considerate la loro ragion d’essere» ha scritto il think tank Carnegie Europe.
Parigi e Berlino abdicano alla loro leadership proprio quando l’Europa avrebbe più bisogno di loro. Per una volta, l’Italia si trova nella posizione di fare l’adulto della situazione. Le prime dichiarazioni di Giorgia Meloni alla Camera dei deputati non sembrano andare in questa direzione: «Non sono i sovranisti che comandano in Europa. Si cita sempre Orbán, ma l’atteggiamento della Germania di queste settimane come lo chiamiamo? Quello è europeismo?». Roma ha la chance di aggiungere un vertice all’asse tra Francia e Germania, trasformandolo in un triangolo, ma rischia di sprecarla.