Ma chi glielo fa fareI no a Giorgia di chi è convinto che il governo avrà vita breve

Panetta, Scannapieco, i nomi di alto livello hanno rifiutato un posto nel prossimo esecutivo, pensando al rischio di bruciarsi perché la leader di Fratelli d’Italia non durerà poi tanto a lungo a Palazzo Chigi

di Kai Pilger, da Unsplash

Non ci credono, a Giorgia. Per questo le dicono no, grazie. I Fabio Panetta, i Dario Scannapieco, persone qualificatissime che si saranno legittimamente chiesti «ma chi me lo fa fare, e se poi non dura?» ed è una situazione curiosa, mai vista, dato che normalmente c’è la fila per fare i ministri, tanto più di un governo guidato da chi ha vinto le elezioni e nutre grandissime aspirazioni.

C’è indubbiamente uno scarto, in questi giorni che precedono l’incarico, tra le alte aspettative di Giorgia e lo scetticismo di mondi fondamentali, dell’establishment che già rimpiange Mario Draghi, del presidente di Confindustria Carlo Bonomi che ha già demolito flat tax e diavolerie propagandistiche e chiede un impegno serio per sostenere l’industria in difficoltà, è proprio il mondo che in teoria dovrebbe sostenere la novità di un governo diverso quello da cui giungono segnali di freddezza: quanto dura Meloni?

Lo stesso nervosismo di Silvio Berlusconi non è classificabile solo nel quadro della lotta per aggiudicarsi un ministero (la questione Ronzulli sta diventando una barzelletta) ma forse è anche il riflesso di un mancato affidamento del vecchio imprenditore sulle doti e sulla non-esperienza della “signora Meloni”, amplificati dal timore che a via XX Settembre potrebbe non finire una persona di sicura esperienza e indiscutibile caratura, anche pensando ai rapporti che questi avrà con Bruxelles.

Il ripiegamento su Giancarlo Giorgetti, se alla fine il successore di Daniele Franco (si dice che abbiano chiesto anche a lui) sarà l’esponente leghista, è appunto il simbolo di questo abbassamento della qualità tecnica del ministro più importante, quello su cui fin da subito cadrà la responsabilità di governare un mare in tempesta, le bollette, l’inflazione, lo spettro della recessione, il lavoro.

In tutto questo non si parla del ministro per lo Sviluppo economico, né di quello per la Transizione ecologica (Roberto Cingolani se lo possono scordare), manca insomma l’idea di una squadra, d’altra parte la squadra, semplicemente, non c’è

Il tanto annunciato “altissimo livello” forse arriverà in extremis ma certo per ora non ve n’è traccia e nella maggioranza non solo non c’è concordia ma soprattutto non si vede uno slancio fiducioso per il nuovo governo; e c’è da chiedersi se lei, Meloni, in qualche modo senta attorno a sé un clima sospeso, privo di aria, e se non sia per questi che ieri abbia tentato con toni aulici di entusiasmare i suoi parlamentari: «Puntiamo a un governo di altissimo livello, che parta dalle competenze, il governo più autorevole possibile, e non c’è spazio per questioni secondarie rispetto a questo obiettivo», dove per «questioni secondarie» si devono intendere le rimostranze quotidiane di Berlusconi e Salvini. «Noi siamo una cosa completamente diversa da tutto quello che è stato visto finora», il che suona malissimo per chi ha apprezzato il governo Draghi – altro che continuità –, una frase che punta a ripulire un’aria già stagnante, da vecchia politica dorotea di serie B tutta tattica e spartizioni, senza sogni, senza niente che non sia un’eccitazione da neofiti per la mera gestione del potere.

Ecco perché già serpeggiano i dubbi su quanto durerà questo governo non ancora nato: perché nasce senza respiro, senza un disegno generale, e forse senza nemmeno grandi personalità. Con tutto il rispetto per Giorgetti e Ronzulli.

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