Sulla situazione ottima non giurerei, ma che grande sia la confusione sotto il cielo e noialtre derelitte non abbiamo neanche un Lothar a tenerci la mano è uno stato di cose che nessuno può negare.
A un certo punto, mentre l’Italia che farebbe di tutto pur di non lavorare si prepara a giorni di dirette televisive per votazioni andate a vuoto, mentre alcune di noi approfittano per il cambio degli armadi e altre per gli autoscatti, a un certo punto su La7 va in onda una replica.
È l’una e mezza scarsa, quand’è sintonizzata anche l’Italia che lavora ma che in quel momento è a tavola, e Myrta Merlino dovrebbe cedere la linea al tg, ma non lo fa giacché grande è la confusione sotto il cielo, e lei diventa Sandra Milo. La Sandra Milo che tutti ricordano, quella che oddio Ciro, oddio chi parla, oddio chi è. La Sandra Milo di trentadue anni prima.
Un attimo prima Liliana Segre stava scrutinando le schede col tono perpetuamente interrogativo delle adolescenti californiane: a ogni «Bianca?» io alzavo la testa dal cambio degli armadi chiedendomi quale Bianca stesse passando di lì e la senatrice la chiamasse per salutarla. Anche su «La Russa?» m’interrompevo, mica La Russa se ne starà andando e le toccherà richiamarlo.
Insomma, non è che stessi procedendo granché col cambio degli armadi.
Finché è arrivata la dirompente telefonata che annunciava che Ciro aveva avuto un incidente, e la comprensibile confusione di Sandra ha fatto la storia della televisione. Cioè: finché un qualche autore ha fatto segno a Myrta che Ignazio aveva passato la soglia dei 104 voti necessari, voti dati chissà da chi, dalla vecchia Dc dispettosa, dall’opposizione cui fanno più schifo i compagni di partito che gli avversari, dalla marmotta che incarta il cioccolato.
La Merlino vacilla, no, aspettate, è eletto, sì, no, dopo un po’ un redattore impietosito le porta la stampata di un’agenzia, come 116 voti, ma allora sono molti di più, ma non è che quelli di Forza Italia l’hanno votato di soppiatto, «senza farsi scorgere»?
In studio c’è Marco Minniti, che mezz’ora prima ha raccontato un aneddoto stupendissimo su D’Alema e Cossiga, facendomi pensare ma perché non gli danno un programma, rieduchiamo questa disastrata nazione, insegniamole la storia del Novecento invece d’aspettare che lo faccia Netflix, mettiamo a spiegare la politica gente che oltre alle storie di potere conosca il potere delle storie, e le sappia raccontare.
Quando Myrta Merlino dimostra di non aver capito come si è svolta la votazione cui ha appena assistito, Minniti intuisce che a questa fioraia serve un professor Higgins, e interviene caritatevole: no, i nomi dei votanti compaiono.
(Nota per indignati che «Hai dato alla Merlino della fioraiaaaa»: quando avete finito con la storia della politica italiana, studiate anche quella del teatro inglese, e solo dopo tornate a perder tempo sull’internet).
Nel pomeriggio, quando l’Italia che batte la fiacca non avrebbe scuse per non lavorare, essendosi conclusa la votazione e pure i discorsi, su La7 c’è Claudio Velardi, ed è ascoltandolo che perfeziono la mia idea: un programma intitolato Meno male che i Lothar ci sono – Il Novecento spiegato anche agli ottusi. Speriamo che La7 abbia un buco in palinsesto. (Non so neanche se Velardi e Minniti siano in buoni rapporti, e non ho intenzione d’informarmi: in caso, si sacrificheranno per alfabetizzare i giovani, una trasmissione d’unità nazionale).
Lo so, non vi ho ancora riferito la storia prandiale minnitiana, quella di quando ancora non sapevamo che in Italia ci sarebbe stato un presidente del Senato dopo pochi minuti. (Cioè, non lo sapevamo noi, che non lo sapesse lui non ci giurerei).
La storia faceva così. Si stava formando il governo D’Alema, ma Cossiga voleva per l’Udeur il ministero della Difesa: non voleva rischiare che Cossutta si mettesse a fare il pacifista col culo del Kossovo. Minniti faceva quel che fa lo staff del presidente negli sceneggiati televisivi e nella realtà: cercava di mediare.
Presidente (vocativo immaginato da me: in Italia pure il presidente della bocciofila viene chiamato presidente a vita, volete che Minniti non chiamasse Cossiga «presidente»?), noi pensavamo a una figura terza, che garantisca la nostra missione in Kossovo mentre Santoro fa le dirette dal ponte di Belgrado ma che non sia né dell’Udeur né di Rifondazione (sì, sto attribuendo a Minniti la capacità di pronosticare le trasmissioni di Santoro: mica vorrete rovinarmi lo storytelling con obiezioni cronologiche).
Racconta Minniti che Cossiga, di cui avevo sempre sottovalutato le doti di gattamorta, fa quel che fanno le ragazze che alla fine poi ti convincono a sposarle quando non dai loro tutto ciò che vogliono: smette di rispondergli al telefono. Siamo negli anni Novanta: niente WhatsApp, niente visualizzato non risposto. Marco chiama, Francesco squilla a vuoto. Un giorno, due, tre.
Quando Minniti è ormai stremato dallo stress, dalla paura che questo governo non s’abbia da fare, dall’abilità con cui quello ha invertito la polarità, squilla il telefono. È un centralinista. Il presidente Cossiga dice che o Difesa all’Udeur o niente, e se ha qualcosa da dire dica a me.
E a quel punto Minniti, bisbetico vieppiù domato (ve l’avevo detto che dovevate studiare la storia del teatro inglese), dice stavamo giusto pensando per la Difesa a Scognamiglio, che guarda un po’ che coincidenza è dell’Udeur. Il centralinista richiama per dire che il presidente non ha obiezioni, e il governo si fa.
E quindi, alla fine di una giornata che Minniti ha dovuto spiegare alla Merlino essere storica («vorrei dire ai tuoi collaboratori che questa diretta verrà rivista tra anni», le ha detto, mentre lei mica era convinta che quelli di Forza Italia non fossero entrati coi mantelli dell’invisibilità nella cabina in cui, in diretta televisiva, si votava), la domanda è: com’è successo che La Russa sia diventato Scognamiglio? Ovvero: a chi aveva smesso Giorgia Meloni di rispondere al telefono, e da quanti giorni?