Non credo sia mai accaduto prima che all’indomani di una pesante sconfitta elettorale, e solo pochi giorni dopo avere annunciato le proprie dimissioni, un segretario di partito dichiarasse pubblicamente e illustrasse in dettaglio, come ha fatto ieri Enrico Letta in una lettera aperta ai militanti del Pd, l’intenzione di rifondare il suddetto partito. Già solo questa notizia fa un effetto da teatro dell’assurdo, come un marito che proponesse alla moglie di andare in luna di miele dopo il divorzio. Ma non è finita qui.
Tra tante affermazioni sulla gravità della situazione e la necessità di ripensare e rifondare ogni cosa, al momento funzionali soprattutto a rinviare la resa dei conti congressuale, il gruppo dirigente del Pd discute nel frattempo delle prossime collocazioni di ciascuno, immaginando di piazzare come capogruppo alla Camera uno tra Nicola Zingaretti (cioè il predecessore di Enrico Letta e il primo artefice della linea politica che li ha portati al 19 per cento) e Andrea Orlando (vicesegretario di Zingaretti, nonché ministro a quasi tutto sia prima che dopo), mentre al Senato il posto di capogruppo andrebbe a Francesco Boccia, antico e accanito sostenitore della stessa linea, con un di più di entusiasmo dovuto alla sua vicinanza a Michele Emiliano e a tutta quell’area che per brevità potremmo definire del populismo pugliese.
Considerando che tutti costoro hanno passato gli ultimi cinque anni a giustificare ogni scelta con la necessità di risollevare il Partito democratico dal baratro in cui lo aveva lasciato Matteo Renzi, che nel 2018 aveva preso il 18,7 (e senza altri partiti o pseudo-partiti infilati in lista), appare quanto meno singolare la generale autoindulgenza con cui sembrano aver accolto il 19 per cento preso stavolta.
Leggere poi nei retroscena che il segretario molto-lentamente-dimissionario sarebbe addirittura in corsa per la presidenza della Camera aggiunge un tocco di surrealismo all’intero dibattito. Verrebbe da dire: e se invece del 19 prendeva l’1,9 a cosa si candidava: presidente della Repubblica, segretario generale dell’Onu, Papa?
Nulla però è più straniante della lettera inviata da Letta a tutti i militanti, con le quattro tappe del percorso necessario alla rifondazione del partito di cui ha dichiarato di voler lasciare la guida, in cui annuncia che si dovrebbero decidere niente di meno che «l’identità, il profilo programmatico, il nome, il simbolo, le alleanze, l’organizzazione». L’unica spiegazione logica, a questo punto, è che Letta intenda dimettersi da segretario del Pd per candidarsi alla guida del nuovo partito.