Altiero Spinelli ha pensato un’Europa unita nel pieno della dominazione nazi-fascista e ha difeso quel sogno quando, dopo la guerra, l’integrazione ha vissuto sia i primi progressi sia le prime battute d’arresto. «L’Europa non cade dal cielo» era il volume che raccoglieva alcuni suoi scritti, oggi è anche il titolo della mostra, a Treviso fino all’11 dicembre, che riflette sull’Europa del presente, sulla sua identità, in mezzo a giganti geopolitici e a una crisi climatica epocale, mentre è violentata da una nuovo conflitto.
La selezione delle opere di venti artisti spazia in quattro luoghi della città (Gallerie delle Prigioni, Ca’ Scarpa, Casa Robegan, Museo Bailo). Questa dorsale coabita con 42 raccolte di Imago Mundi Collection dedicate ai Paesi europei, in formato 10x12cm: un atlante di cultura visiva e concettuale che sconfina dal perimetro dell’Ue, e rende possibile un’inclusione su cui gli equilibrismi diplomatici nicchiano, verso i Balcani, sul Mediterraneo ferito delle migrazioni, e poi dritto verso il grande Nord, l’Artico.
Le pratiche artistiche sono varie – dall’installazione alla pittura, dal suono alla fotografia e al video – perché policentrico è anche il dibattito sul destino condiviso di nazioni che hanno passato secoli a combattersi a mano armata e ora tracciano, a volte con fatica, un cammino comune. Per approfondire, e interrogarsi sul significato di «comunità», la mostra prevede un calendario di appuntamenti con giornalisti, studiosi e ricercatori, esperti di politica internazionale.
Le opere mostrano come l’Europa sia da sempre un crogiolo di culture, lingue e tradizioni che convivono e al contempo creano dissonanze quando realtà ibride diventano coabitazioni forzate. Tra i lavori, il sudafricano Dan Halter riprende Il Principe di Machiavelli, la diversità culturale come fonte di ricchezza, l’istallazione luminosa del collettivo Claire Fontaine è una scritta in romaní, la lingua della minoranza etnica più numerosa d’Europa, e la mappa di Emilio Isgrò con le sue inconfondibili cancellature immagina un continente libero, priva di confini e pacifica.
A Ca’ Scarpa, a trent’anni dalla sua ultima esposizione in Italia, torna Stadium di Maurizio Cattelan. Un calcio balilla lungo più di 6 metri con 22 postazioni, 11 per parte, che si attiva quando due squadre si affrontano (ci sarà un vero e proprio campionato». Con quest’opera Cattelan riesce a condensare le ossessioni e le contraddizioni dell’Italia degli anni ’90, «con tutti i limiti di cui il nostro Paese ancora oggi è carico: la paura del diverso, dell’invasore, la pelle nera a cui non si fa caso nel sistema miliardario delle squadre di serie A, ma è invece marchio d’infamia se appartiene a chi non possiede nulla».
L’opera sonora immersiva di Santiago Sierra riproduce contemporaneamente gli inni nazionali dei 27 Paesi dell’Unione, in una moltitudine di suoni che diventa cacofonia ed evidenzia le dissonanze, più delle armonie. Le foto di Gabriele Basilico ritraggono i porti d’Europa, luoghi di arrivi e di partenze, frontiere e varchi insieme. E poi la diaspora africana, il colonialismo europeo, la mobilità che un passaporto è in grado di concedere o negare.
«Se quest’anno si celebra il trentennale dalla firma del Trattato di Maastricht, il 2022 è anche l’anno che ha visto l’Europa ripensare se stessa a fronte dei molteplici eventi che stanno trasformando il mondo – spiega la nota dei curatori Nicolas Ballario, Lucia Longhi, Mattia Solari –. La mostra apre una riflessione su cosa significa essere europei nel XXI secolo, ma vuole anche essere uno stimolo a continuare quel cammino, quotidiano e collettivo, verso una maggiore integrazione e coesione fra i popoli del continente».
Fino all’11 dicembre, lo spirito di Ventotene abita a Treviso. L’algebra della nostra Europa è questa: il totale non è mai “solo” la somma delle parti.