Pacifismo ciecoL’errore del Premio Nobel per la pace e la miopia degli intellettuali occidentali

Il Comitato che assegna il riconoscimento ha messo sullo stesso piano gli oppositori di due regimi che hanno invaso un paese libero e indipendente e chi subisce i loro crimini di guerra

Credits: LaPresse

All’ottavo mese di guerra della Russia all’Ucraina, il Comitato che assegna il premio Nobel per la pace non riesce ancora a distinguere l’Ucraina dalla Russia e la Bielorussia dalla Russia.

L’Ucraina, che vuole uscire da questo cerchio di rapporti tra impero e colonia, con questi gesti ogni volta viene spinta dentro, viene rimandata nella sua storia, dove l’impero le ha tolto la voce e il volto e lo continua di fare. Sia in Bielorussia sia in Russia ci sono figure che combattono per la libertà, ma né in Bielorussia né in Russia muoiono civili e bambini, non si vive sotto la minaccia nucleare, non si vive sotto la minaccia di bombardamenti e di perdere in un tratto tutto nella vita e la vita stessa per scelta di qualcuno. Scelta che non proviene solo da una persona, ma da una catena di persone, da un patto sociale, studiato da Hobbes e Locke, firmato tra il potere e il popolo.

Si può parlare di soldati russi che scappano dalla mobilitazione, si può parlare di attivisti bielorussi incarcerati, ma non si deve mai dimenticare l’inizio di tutto questo: che può essere l’annessione della Crimea e l’aggressione dell’esercito russo nel Donbas (anche se dopo il 24 febbraio ci sono persone che hanno versioni diverse pensando che in Donbas c’è stata una guerra civile, ma anche qui bisogna guardare alla radice e scorrere anni indietro per scoprire da dove arriva il mito russo del Donbas) e il silenzio come risposta dell’Occidente, o essere posto cent’anni fa tra il 1917 e 1922, o possono essere le purghe staliniane del 1937-1938, o il 1918, o la tragedia dei Kruty. L’inizio al quale l’Ucraina cerca di porre una fine e non prolungare le sofferenze radicate nella storia per le future generazioni, semplicemente difendendosi e finalmente con l’aiuto di quasi tutto il mondo.

Bisogna guardare alla radice e alla radice c’è l’Ucraina aggredita dalla Russia, che ha usato il suolo della Bielorussia sia per entrare nell’Ucraina del Nord verso Kyjiv sia come base per bombardare l’Ucraina. In estate, quando il popolo della Bielorussia è sceso in piazza, tutti si sono girati dall’altra parte, nessuno ha preso sul serio la situazione che si stava sviluppando sulle piazze di Minsk, lasciando dirottare da Lukashenka l’aereo a bordo con i civili europei e un dissidente della Bielorussia.

Non ci si può parare dietro il Nobel per la Pace che sembra cieco come tanti altri pacifismi, incluso quello di Giuseppe Conte con le sue manifestazioni di fatto pro Putin, senza entrare nella questione. Qui non si tratta dei meriti dei tre premiati, le due associazioni Center for Civil Liberties, ucraina, e Memorial, russa, e l’avvocato bielorusso Ales Bialitski. Si stratta dell’ennesimo sguardo miope degli intellettuali occidentali che in questi giorni come non mai dovrebbero sentire la questione da vicino. Invece di chiamare le cose per loro nome, stiamo ricadendo in un altro giro di giostra dove si preferisce guardare dall’altra parte.

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