L’ex ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani resterà a Palazzo Chigi come «advisor per l’energia» a titolo gratuito. Dal rigassificatore di Piombino a Bruxelles, le partite aperte sono tante. Come ammette il successore, neo ministro dell’Ambiente e Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin in un’intervista al Giornale.
Da viceministro dello Sviluppo economico, Pichetto Fratin ha già collaborato con Cingolani. E il suo giudizio, dice, è «senza dubbio positivo. Abbiamo fatto parte dello stesso governo e molte scelte sono state condivise con il ministero dello Sviluppo economico».
I dossier sono tanti. «Capisco chi fa slogan e si schiera da una parte o dall’altra. Io ho sempre cercato, in tutte le attività svolte, di argomentare le mie scelte. Noi abbiamo un dovere preciso: quello di dare soluzioni e non di fare campagne», dice il neoministro, che al Mise si è molto occupato del settore automotive.
Bisognare guardare il sistema produttivo e conciliare sostenibilità ambientale e sociale, spiega. Anche la deadline sul passaggio alla mobilità elettrica nel 2035 andrà verificata «la capacità delle imprese, anche in considerazione delle criticità di approvvigionamento di microchip e batterie. Ma ci vuole la possibilità di ragionare sui tempi e sui modi per raggiungerlo, senza dimenticare i biocarburanti, l’idrogeno e deroghe a settori specifici».
Ma il primo scoglio sarà il rigassificatore di Piombino per «superare l’inverno vista l’emergenza in cui ci troviamo», come ha spiegato Cingolani. Il sindaco di Piombino appartiene al partito della presidente del Consiglio: Fratelli d’Italia. E certo avere il comune di Piombino dalla propria parte metterebbe il governo più al riparo da ricorsi al Tar dei comitati cittadini.
Necessari poi saranno la competenza e il rispetto che all’ex ministro sono riconosciuti a Bruxelles, spiega il Corriere. L’Italia è di gran lunga il Paese che ha concluso i maggiori accordi in Europa di fornitura di gas per sostituire le forniture russe: 13 miliardi di metri cubi di gas all’anno entro il 2023, contro gli accordi da 2,6 miliardi della Germania (di cui gran parte nel 2026).
Il governo di Roma — in continuità da Draghi a Meloni — non ha interesse agli acquisti comuni europei perché è sicuro dei contratti dell’Eni. Ma non è invece sicuro di poter compensare a lungo i consumatori, visto il debito pubblico, quindi chiede un tetto stringente al prezzo. Ora, dai prossimi giorni, si dovrà negoziare a quali livelli scatta questo di emergenza. E sarà un po’ come infilarsi nell’abito politico di Draghi, dopo anni di opposizione.