Le ragioni di un incantoChe cosa vuol dire essere proustiani (e piperniani) oggi

Leggere “Proust senza tempo” (Mondadori, 2022) di Alessandro Piperno significa leggere una confessione intima dello scrittore riguardo al suo antico fascino per l’autore francese

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Leggere un libro di Alessandro Piperno su Marcel Proust significa leggere insieme due libri, uno su Piperno e uno su Proust. Infatti “Proust senza tempo” (Mondadori, 2022) è certamente un saggio sull’autore della Recherche ma è soprattutto una confessione intima dello scrittore italiano riguardo al suo antico incanto per Marcel Proust.

Insomma, questo è un libro dove ritroviamo i pensieri e l’inconfondibile stile di Piperno e al tempo stesso ammiriamo l’emersione dal mare proustiano di tante isole che non si conoscevano o si erano a malapena intraviste.

Abbiamo detto «incanto». È un termine che Piperno adopera più di una volta per sintetizzare il suo ormai lontano incontro con Proust: ed è una parola molto azzeccata, che sconfina con la magia (non è un caso che la grande Renata Colorni abbia cambiato “La montagna incantata” di Thomas Mann con “La montagna magica”).

Ha scritto il compianto Javier Marías (“Domani nella battaglia pensa a me”) che c’è un verbo inglese – to haunt -, non facilmente traducibile (come il simile francese hanter), che potrebbe rappresentare una sorta di incantamento «che non è altro che la condanna del ricordo, del fatto che gli eventi e le persone ritornino e appaiano indefinitamente e non cessino del tutto né ci abbandonino del tutto».

È proprio la dinamica della famosa memoria involontaria che percorre tutta la Recherche, e anche il motivo per cui il proustiano non riesce a scrollarsi di dosso il “proustismo”. Anzi, crede di vederlo in mille cose che apparentemente e anche sostanzialmente non hanno nulla a che vedere con il gran romanzo, da cui – lo nota Piperno – scattano riflessi che accomunano i “fedeli” di Proust sparsi da decenni ai quattro angoli del mondo, e non si sa bene perché.

«Il processo ricordava parecchio quello dell’ipnosi – scrive Piperno parlando del suo apprendistato proustiano – la fitta pagina proustiana mi ondeggiava davanti agli occhi come un pendolo provocando una specie di trance: la fusione tra me e il testo era talmente promiscua da favorire il dubbio un po’ bizzarro che ciò che stavo leggendo lo conoscessi già».

A parte che la prosa sembra tratta da “La strada di Swann”, siamo sempre lì, all’incanto e alla confusione tra noi e il Narratore (che è Marcel e non è Proust) «per ciò che è: un essere umano, e per questo gretto, vendicativo, chiuso nella sua impenetrabile torre d’avorio».

Quando Piperno dice «io sono proustiano» in tre parole ha chiarito tutto, non è ammessa replica – un proustiano è per sempre -, e invece apre la ricerca, è il caso di dire, su cosa abbia veramente voluto dire Proust. E qui si apre una discussione infinita in cui lo scrittore romano disegna spunti sorprendenti anche per gli espertissimi della materia, riuscendo al tempo stesso a invogliare il neofita a gettarsi nell’abisso dell’interminabile romanzo.

L’autore dunque aggiunge un pezzettino di verità – la sua verità – alla domanda cruciale: perché Proust ci incanta. Piperno, che è una indiscussa autorità in materia, oltre che scrittore sensibilissimo, sa meglio di tutti che ciascuno trova nell’opera proustiana ciò che corrisponde a una corda dell’io interiore, a qualcosa non solo di assolutamente singolare ma anche di mutevole nel tempo, e perciò del tutto sfuggente alla ragione che pure ha una parte enorme nell’incontro con le “storie” narrate.

Insomma, leggendo questo libro il lettore proustiano viene preso una volta di più dallo sgomento che si prova dinanzi a una maestosa cattedrale gotica dai mille cancelli d’ingresso, gran parte dei quali non ci si era accorti che esistessero. Piperno aiuta dunque ad andare avanti nella meditazione su Proust, e non solo su di lui ma su tanti pezzi da novanta della lettura di ogni tempo che egli accosta, per svariate ragioni, allo scrittore francese, da Dante a Roth, da Céline a Montaigne, e si tratta di nessi squisiti e sorprendenti. È il Proust che è ovunque, quello che ritroviamo in questo libro, appunto: senza tempo.

“Proust senza tempo” di Alessandro Piperno, Mondadori, 156 pagine, 18 euro.

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