Morte a buon mercatoLa Russia usa i droni kamikaze iraniani perché sono gli unici che si può permettere

Putin sceglie di colpire i civili ucraini con armi low cost rudimentali per nascondere al mondo (senza riuscirci) le sue lacune logistiche e di produzione bellica. Se gli Stati Uniti e i Paesi europei forniranno a Kyjiv ulteriori sistemi di difesa ad alta tecnologia, Mosca non sarà in grado di contrastarli

LaPresse

Con ogni nuova escalation e ritorsione di Putin, la guerra in Ucraina si arricchisce di improbabili dettagli che svelano molto della strategia a lungo termine russa. L’ultima svolta è avvenuta lunedì 10 ottobre, quando le forze armate russe sono ricorse a un uso massiccio di droni Shahed-136Si tratta di un modello iraniano di cosiddetti “droni kamikaze” (ma più correttamente definite munizioni circuitanti, o loitering munitions in inglese), ovvero droni usa-e-getta dotati di un carico esplosivo che operano schiantandosi contro l’obiettivo individuato. 

La comparsa del drone iraniano non è in realtà una novità: già questa estate si era parlato di un accordo fra il Paese degli ayatollah e la Federazione Russa per la fornitura di questi sistemi. L’accordo, anticipato dall’intelligence americana, aveva sorpreso molti commentatori, ma è in realtà una soluzione logica a delle evidenti lacune russe in termini tecnologici e di complesso industriale-militare. 

Nonostante parecchi investimenti nell’automazione e nello sviluppo di droni, la Russia non possiede a oggi una produzione su larga scala di droni armati paragonabili a quella americana (o quella turca). Ciò è diventato un problema soprattutto negli ultimi mesi, durante i quali la carenza di missili ad alta precisione aveva reso difficile per i russi mantenere alta la pressione sulle retrovie ucraine.  

Ed è qui che entra in scena lo Shahed-136. Sviluppato dalla Iranian Aircraft Industrial Company (Hesa), per i russi il drone kamikaze ha il grande pregio di essere stato sviluppato in un regime sottoposto da decenni a sanzioni, specialmente nel settore tecnologico. Ciò rende i prodotti militari iraniani poco costosi e basati su tecnologie abbastanza rudimentali, facendo ad esempio uso di componenti elettroniche diffuse nel settore civile. Questo è un vantaggio per Mosca, dato che il Paese è ormai tagliato fuori da quasi tutti i mercati di semiconduttori e processori avanzati. 

Non a caso, alcune voci nell’establishment della Difesa russo hanno sostenuto l’opportunità di iniziare a produrre il drone in Russia e di integrarlo maggiormente nelle operazioni di fuoco. Bisognerà vedere quanto gli iraniani saranno disposti a cedere su questo punto, anche se Teheran si è per ora dimostrata molto collaborativa: diversi addestratori e operatori iraniani sarebbero recentemente morti in un bombardamento ucraino nei pressi di Kherson, dimostrando quanto gli alleati mediorientali di Mosca siano presenti anche a ridosso del fronte.  

Per la Russia, potersi affidare a una filiera industriale a prova di sanzioni è chiaramente positivo, ma impone anche delle scelte operative abbastanza dure. Lo Shahed-136 é sicuramente un drone poco discreto, utilizzando un rumorosissimo motore cinese MD550 copiato dal Limbach L550E (per intenderci, un’evoluzione del motore del maggiolino Volkswagen). 

Il boato che produce, simile a quello di un motorino, lo rende facilmente rintracciabile, e con una manovrabilità limitata è piuttosto facile da abbattere con i sistemi ucraini. Per questo, lo Shahed-136 parte da un lanciatore da cinque droni e vola a bassissima quota in gruppi da dieci o dodici, raggiungendo l’obiettivo a una velocità massima di 150 chilometri all’ora.  

Detto questo, nell’utilizzo dello Shahed-136 conta soprattutto la quantità, non la qualità. Il piccolo drone, con un’apertura alare di tre metri e un peso di 200 kg (di cui 50 di esplosivo) rappresenta uno strumento perfetto per il tipo di obiettivi perseguiti dai russi. Un utilizzo di massa di un sistema a basso costo, con sufficiente precisione da poter colpire obiettivi di medie dimensioni senza però essere così sofisticato da richiedere componenti high-tech, lo Shahed-136 simboleggia per la macchina da guerra russa, quello che il sistema d’artiglieria americano Himars è per gli ucraini: un sistema d’arma che rivela le priorità politiche e militari dell’esercito che li impiega. 

Se l’Himars è stato soprattutto usato per colpire la rete logistica russa e tentare di sconfiggere il nemico sul piano economico-materiale, lo Shahed-136 sia per lo più impiegato per operazioni che cercano di imporre agli ucraini un costo sproporzionato e asimmetrico per ogni vittoria conseguita dai difensori. 

Il senso non è quello di danneggiare con precisione obiettivi militari con missili da milioni di dollari, bensì poter lanciare grandi campagne di ritorsione come quella svoltasi il 10 ottobre, dopo l’attacco al ponte di Kerch. Colpendo la popolazione civile e infrastrutture come centrali elettriche, il Cremlino vuole dimostrare di essere in grado di punire il popolo ucraino e di mietere vittime dietro alla linea del fronte, senza per questo rischiare un’ulteriore escalation militare. 

Colpendo i non-combattenti ed usando armi low cost, infatti, la Russia vuole probabilmente evitare che Stati Uniti e Paesi europei si sentano costretti a fornire ulteriori sistemi ad alta tecnologia per le forze combattenti, che Mosca non sarebbe in grado di contrastare. Come in Siria, in Cecenia e altrove, la Russia ha deciso di intraprendere una campagna contro la popolazione civile. Non potendo sconfiggere militarmente il nemico, l’obiettivo diventa devastarne l’infrastruttura economica e sociale, nella speranza che nel lungo termine ciò indebolisca la volontà politica ucraina. 

Da giugno in poi, Mosca avrebbe impiegato circa ottantasei Shahed-136, anche se la fornitura originale dovrebbe ammontare a svariate centinaia di droni. Alcune fonti sostengono che lunedì, la Russia avrebbe utilizzato addirittura quaranta droni, anche se per ora sembra un numero abbastanza esagerato. Non c’è però dubbio che questi numeri sarebbero possibili se Mosca decidesse di avviare la produzione sul suolo russo. Sarebbe un ulteriore passo per preparare l’industria militare a una guerra di logoramento a lunga durata. 

La risposta che può dare l’Occidente? Aumentare la fornitura di sistemi antimissile e antiaerei a protezione dei civili e fare in modo che anche lo sforzo bellico ucraino sia sostenibile nel lungo periodo in termini di costi e tecnologie.