L’agricoltura è da sempre considerata un settore strategico dell’economia. E per “da sempre” intendiamo dai tempi dell’antica Roma. E nella storia più recente l’intervento degli stati ha sostenuto e incoraggiato la produzione agricola per garantire alla popolazione l’autosufficienza alimentare: qualunque cosa succeda, guerre, catastrofi naturali, epidemie, il cibo non deve mancare.
La crescita della popolazione mondiale, l’acuirsi del problema della fame nel mondo e gli squilibri nella distribuzione delle risorse alimentari hanno generato la necessità di un intervento globale attraverso le organizzazioni internazionali.
Il primo passo: contro la fame a livello globale
La Convenzione Internazionale per i Diritti Economici, Sociali e Culturali riconosce ad ogni individuo il diritto fondamentale di essere libero dalla fame. In occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, il 16 ottobre 2003, la Fao ha raccolto nella pubblicazione “Lavorare insieme per un’alleanza contro la fame” una serie di obiettivi e di raccomandazioni alle singole nazioni: gli stati devono rispettare, proteggere e garantire il diritto dei loro cittadini ad alimentarsi a sufficienza e devono intervenire se questi non saranno in grado, per motivi al di fuori del loro controllo, di provvedere a se stessi.
Oggi – scrivevano – il mondo produce cibo a sufficienza per nutrire i suoi abitanti e dispone delle conoscenze tecniche per migliorare l’alimentazione e aumentare l’accesso al cibo e tuttavia troppo pochi Paesi hanno fatto abbastanza per combattere la fame. A distanza di quasi vent’anni la situazione non è cambiata di molto, e gli ideali di cooperazione e di azione sono stati troppo spesso disattesi. Ancora la quantità di cibo in molte regioni del mondo è insufficiente, e spesso la globalizzazione ha portato a un peggioramento delle condizioni nelle aree più povere della terra.
È proprio il mercato globale dei prodotti agricoli a provocare danni pesanti alle coltivazioni di tradizione locale dei territori più poveri, portando a una sistematica sostituzione delle colture più antiche e a un’imposizione di sistemi e politiche agricole estranee al territorio e alle capacità organizzative delle aziende locali. È in questo contesto che fa per la prima volta la sua comparsa il concetto di Sovranità alimentare.
Il passo successivo: la tutela del patrimonio agricolo
«Il diritto dei popoli e degli Stati sovrani a determinare democraticamente le proprie politiche agricole e alimentari». Questa la definizione di sovranità alimentare dettata nel 2008 dall’International Assessment of Agricultural Science and Technology for Development (Iaastd) con il patrocinio delle Nazioni Unite e della Banca Mondiale. Il concetto è stato introdotto in realtà già nel 1996 dal movimento contadino internazionale Via Campesina, e riaffermato nel World Food Summit di Roma.
Ancora, nel 2007 in Mali il Forum Internazionale sulla sovranità alimentare affermò «il diritto dei popoli ad alimenti nutritivi e culturalmente adeguati, accessibili, prodotti in forma sostenibile ed ecologica, ed anche il diritto di poter decidere il proprio sistema alimentare e produttivo». Al diritto ad alimentarsi si affiancano quindi principi come la biodiversità, la qualità, la possibilità di gestire direttamente le risorse del territorio senza interferenze da chi detiene tecnologie e risorse finanziarie superiori. Alla filosofia della sovranità alimentare fanno riferimento elementi culturali e sociali, e la volontà dei diversi popoli di affrancarsi dai condizionamenti dettati dagli interessi delle multinazionali del settore.
Si sceglie così di valorizzare e proteggere le sementi e le varietà locali, tutelando diversità che andrebbero altrimenti perdute. Si sceglie di dare spazio alle conoscenze e alle metodiche di lavorazione consolidate nel tempo e che rischiano di finire dimenticate, soffocate dall’uniformità imposta dalla globalizzazione, senza tenere conto delle necessità delle singole realtà geografiche.
Un concetto quanto mai attuale
La sovranità alimentare è un concetto oggi riscoperto e rivalutato, come dimostra la scelta del governo francese di utilizzare il nome Ministère de l’Agriculture et de la Souveraineté alimentaire. E come dimostra la scelta fatta oggi dal nuovo governo italiano. Del resto già da tempo molte comunità nel mondo seguono questa filosofia, a partire dall’attivismo in questo senso dei nativi americani, per arrivare a quegli stati che, come l’Ecuador, il Mali, la Bolivia, il Venezuela, il Senegal e l’Egitto, hanno inserito il concetto di sovranità alimentare nelle proprie costituzioni e nelle proprie leggi.
E in Italia Slow Food mette in evidenza per bocca della presidente Barbara Nappini come quello di sovranità alimentare non sia un concetto «sinonimo di autarchia: è il diritto dei popoli a determinare le proprie politiche alimentari senza costrizioni esterne legate a interessi privati e specifici. È un concetto ampio e complesso che sancisce l’importanza della connessione tra territori, comunità e cibo, e pone la questione dell’uso delle risorse in un’ottica di bene comune, in antitesi a un utilizzo scellerato per il profitto di alcuni».