Non potrebbe essere più netto il contrasto tra la dignità e la bellezza dei canti intonati dagli ucraini rifugiati nelle stazioni della metropolitana di Kyjiv, sotto le bombe, e la miseria e la tristezza delle cantilene provenienti da tanti politici, sindacalisti e intellettuali italiani in cerca di collocazione.
Il silenzio di Matteo Salvini, la cui recente vocazione pacifista non vale evidentemente il rischio di giocarsi le ultime chance di ottenere un «ministero di peso», rende ancora più malinconico lo spettacolo offerto dal fronte opposto.
Non potremmo apprestarci a celebrare il centenario della marcia su Roma in modo peggiore, e non tanto per l’ascesa di Giorgia Meloni alla guida del governo, quanto per il modo in cui le forze che si proclamano antifasciste mostrano di tenere in conto i principi che proclamano.
Dagli argomenti usati da tanti di loro sembra di capire che a suo tempo, se Hitler avesse avuto l’atomica, la cosa giusta da fare non sarebbe stata lo sbarco in Normandia, ma un’altra bella conferenza di Monaco come quella del 1938. E perché poi, in Italia, ostinarsi a respingere i tedeschi oltre la linea gotica, invece di aprire un negoziato e cercare un ragionevole compromesso anche lì? Chissà cosa avrebbero detto, i tanti che oggi s’indignano perché gli ucraini hanno attaccato un ponte (ponte da cui passano i carri armati russi), a proposito dell’attentato di via Rasella e di tutte le altre iniziative dei Gap. A dire la verità, c’era anche allora chi li definiva terroristi, ma erano i nazisti.
I russi bombardano case, scuole, ospedali e centrali elettriche da mesi, mica da ieri. Le fosse comuni e le camere di tortura che emergono da ogni città liberata – liberata dalla controffensiva ucraina, anche grazie alle armi occidentali – sono lì a ricordarci, ogni giorno, cosa succede e cosa continuerà a succedere nelle zone occupate, se gli ucraini smetteranno di avanzare, e se non continueranno a ricevere il sostegno economico, politico e militare dell’occidente: quello che è già successo a Bucha, quello che è già successo a Izyum, quello che succede ovunque nell’Ucraina occupata, e che purtroppo non assomiglia, neanche lontanamente, alla pace.