EcletticaIl successo del 142 parte dai banchi del mercato

Non è più una novità nel campo della ristorazione milanese, ma il ristorante di Sandra Ciciriello è un locale che merita assolutamente di essere visitato

Se il 142 non è una novità in senso stretto resta un locale fortemente personale voluto da Sandra Ciciriello che l’ha fondato assieme a un bel terzetto di giovani e motivati professionisti in cucina: Nello Barbieri, Chiara Orrù e Alessandro Montanari. Non ne porta il nome, perché Sandra, pur essendo il deus (o meglio la dea) ex machina, crede nel concetto di squadra e lo dimostra.

Quella che Sandra racchiude in sé è una anima professionale sfaccettata: palato fine pur non essendo in cucina, esperta del mondo del vino, navigata selezionatrice di materia prima ittica ma non solo, donna di sala con grande esperienza e, non meno importante, imprenditrice.

I presupposti su cui poggia l’idea del locale sono solidi, Sandra ha una ventennale conoscenza della ristorazione e a un certo punto del suo percorso ha saputo decidere una nuova direzione.

Patron anzi patronne di questo luogo con una squadra che in sala oltre che giovane e fresca si dimostra brillante e reattiva.

Un palato che sa decidere senza condizionamenti della bontà di un piatto: «In cucina lascio carta bianca» ci confida. Le persone che lavorano con lei hanno conquistato la sua fiducia negli anni ma un assaggio e un parere su quello che esce dal pass non lo nega mai.

Il 142 è un locale in cui prima ancora di sedersi al tavolo vale la pena sorseggiare qualcosa al bancone. Chiacchiere e bollicine prima che si aprano le danze, seduti a quello che non è un bancone qualunque ma una vera e propria creazione artistica voluta da Sandra: centinaia di capsule di bottiglie stappate, conservate e unite a creare un mosaico che è la memoria dei suoi assaggi.

Ai Mercati generali di Milano, e in particolare a quello ittico, Sandra è di casa da oltre 30 anni, meriterebbe un riconoscimento solo per questa assidua e costante frequentazione, sintetizza in una battuta.

Il tempo e la cura per fare la spesa, quello che molti definiscono il primo atto gastronomico della professione in cucina, lei l’ha sviluppato sul campo per anni tra bancali, cassette e sveglia prima che faccia giorno.

Ha vissuto tempi in cui, dopo essersi formata come figura di sala e sommelier, la sala sembrava ancor ancella della cucina, Sandra però aveva già un menu degustazione che portava il suo nome. Accogliere, intrattenere, raccontare, ha prima imparato e poi insegnato cosa vuol dire servizio di sala.

Ci sono persone che hanno lavorato con lei e che la chiamano ancora Maestro, ci racconta, una delle cose più gratificanti per chi ha investito tanto nella propria professione.

Non rinnega il passato, costituisce il bagaglio di esperienze di cui ora sta facendo tesoro in proprio, non smette di operare in prima linea e al tempo stesso non smette di credere nella formazione.

Stupisce la mancanza a oggi di adeguati riconoscimenti, anche se il tempo dalla data di apertura del 142 va misurato diversamente.

Aprire nel 2019 è stato come andare inconsapevolmente incontro a un fermo immagine con un’imprevedibile attività a singhiozzo, seguendo la curva dei contagi.

Come per molti, anche per Sandra doversi fermare con il locale non ha significato stare ferma; all’indomani della pandemia ha messo in atto la capacità di reinventarsi con il delivery e con i prodotti della cucina da portare a casa. Una necessità e al tempo stesso la scoperta di un nuovo modo per raggiungere i clienti che continua anche oggi. Non è stato un percorso facile finora ma le ha consentito di tirare fuori la tempra e la razionalità dell’imprenditrice con una visione sul futuro.

Un locale ha bisogno di tre anni per poter sviluppare al meglio la propria identità, afferma, per avere anche il tempo di fidelizzare uno zoccolo duro di clientela, nonostante siano passati tre anni dall’apertura al netto del Covid il 142 ha poco più di un anno di vita.

Il ristorante è anche un’azienda per lei, e in quanto tale ha la necessità di dotarsi di una struttura organizzata, con l’imprinting di chi sotto la voce sostenibilità fa rientrare non solo quella ambientale ma anche quella umana ed economica.

Quello della sala e della crisi del reclutamento di personale preparato è un tema inevitabile.

Bene puntare sulla formazione. Bene anche spingere sulla motivazione dei propri collaboratori, tutti compiti di cui Sandra si fa carico ma occorre anche che chi si impegna in questa professione abbia un orizzonte di crescita, sottolinea, una prospettiva di miglioramento in un futuro in cui poter costruire qualcosa. Impegno e sacrifici a vuoto nella quotidianità hanno allontanato molti giovani da questo come da altri lavori.

Così Sandra va al di là delle spiegazioni, spesso semplicistiche, che molti danno del fenomeno, in un’ottica più ampia: «Crisi climatica e mondiale quali prospettive future danno ai nostri giovani?».

Tornando al 142 come luogo del piacere a tavola, la carta si presenta snella con il mare che domina incontrastato.

Nell’estetica e nella descrizione dei piatti da una parte una vena ironica e giocosa, nei nomi e nel modo in cui il cliente è invitato ad assaggiare le portate. Dall’altra riferimenti artistici rendono il gioco più raffinato ma senza nessuna supponenza.

Una cucina che arriva alla meta perché non perde di vista l’obiettivo del gusto, spesso ottenuto con pochi elementi nel piatto.

Ne risulta un’idea di semplicità, lontana dal significare facilità o banalità, che fa trascorrere piacevolmente le ore a tavola.

Ispirazioni legate all’arte a partire dai tavoli, decorati a rilievo con schizzi di colore come fossero dripping. Nel piatto omaggi a Lucio Fontana con acciughe del Cantabrico, pane tostato e burro. Le acciughe su un piatto bianco quadrato e in verticale, appoggiato su un cavalletto, come una tela sulla quale disporre le acciughe, tagli ittici a rilievo.

Oltre la forma, nella sostanza il pane è buono e fatto in casa ma soprattutto arriva ancora caldo con il burro griffato con il logo del locale. Una presentazione colta e minimal, quasi di marchesiana memoria, il Maestro della cucina italiana probabilmente l’avrebbe apprezzata.

Gli sarebbero piaciute anche le pinze, che lui stesso utilizzava, e che qui servono per prelevare le acciughe, pinze che tornano al tavolo per intingere il carpaccio di ricciola del Mediterraneo nella maionese e nel mais liofilizzato per una panatura fai da te. «Osservate il bel tono di rosa» sottolinea la padrona di casa, «per distinguere una ricciola allevata da una pescata». La maionese di alghe, frutti di mare e mais è da scarpetta obbligata.

“Oro mio” è un primo di semplice golosità: spaghetto ed emulsione di bottarga di Muggine. Sulla carta te lo immagini come un bel mix di sapidità e cremosità, al tavolo arriva esattamente come te l’eri immaginato. Ancora un piatto da comporre al tavolo con le mani è “Ten-Taco-li”, polpo arrosto al tè nero affumicato, maionese di acqua di polpo, crema di patate, pomodoro secco e tortillas.

Sotto al tovagliolo le tortillas, dalla sala l’invito a procedere raccogliendo i bocconi di polpo dal piatto direttamente con la tortilla. Il risotto con noci, polline e castelmagno è di un neutro bianco candore ma già al primo assaggio è una sferzata di sapore.

L’idea, come suggerisce Sandra, è quelle del tagliere dove abbinare il formaggio al miele e alle noci, trasportata in un risotto. La parte dolce unisce toffee alla vaniglia con ganache montata al cardamomo verde (da menzione) limone candito e fichi. Un dessert da fine pasto che senza eccessi non fa rimpiangere minimamente la pasticceria più classica.

La figura di Sandraè sempre presente tra i tavoli, mostrando la qualità che rende la sala la chiave di volta di un pasto al ristorante: la capacità di osservare. Una cosa semplice e fondamentale al tempo stesso per chi dirige una sala che funziona bene, se un dettaglio dovesse sfuggire lei lo nota e interviene.

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