«Mamma, mi compri un ciupa?». La manina tesa verso il bancone del bar, dove occhieggiano coloratissimi i Chupa Chups, il bambino chiede di poter afferrare il suo dolcetto.
Almeno una volta, abbiamo assistito tutti – da spettatori o da protagonisti, in veste di genitori o di figli – a questa scena in cui in realtà non c’è nulla di casuale. I Chupa Chups, infatti, nascono oltre sessant’anni anni fa in Spagna dalla precisa volontà di Enric Bernat di soddisfare i desideri dei bambini.
Era il 1958, e il titolare di una piccola azienda di dolciumi nei pressi di Barcellona volle analizzare attentamente le abitudini riguardanti il consumo dei dolci in Spagna. Si accorse così che le caramelle in commercio non erano affatto adatte ai più piccoli, che mangiandole finivano inevitabilmente con l’impiastricciarsi le mani.
I bambini vogliono ciucciare, certo, ma anche togliere la caramella dalla bocca, guardarla mentre si rimpicciolisce, metterla “in pausa” per fare altro, per giocare o per raccontare qualcosa. Così una caramella “montata” su uno stecco è molto più facile e soddisfacente per i bambini, e sicuramente più gradita ai genitori, che si risparmiano poi di dover pulire e lavare il bimbo.
Certo, il lecca-lecca esisteva già: agli inizi del Novecento i lollipop, grandi caramelle inserite su uno steccone facevano la loro comparsa negli Stati Uniti, inventati nel 1908 da George Smith e brevettati con un nome registrato nel 1931. Ma si può guardare ancora più indietro. Si può pensare ai dolci di frutta secca e miele che Romani ed Egizi munivano di un bastoncino per mangiarli mentre passeggiavano, o ai dolci di zucchero bollito montati su uno stecco che gli Inglesi gustavano nel Seicento, o ancora ai grossi galli di zucchero diffusi nella Russia dell’Ottocento (quelli che si vedono sempre nel cartone animato Masha e Orso, per capirci). E questi sono solo alcuni esempi.
Ma l’intuizione di Bernat non si ferma alla praticità di poter reggere con una mano il dolce: questo assume la forma e la dimensione di una caramella. Non è più grande come un lecca lecca. Ci sta tutto in bocca, i bambini lo possono tenere tra le labbra o in mano.
Ancora un’intuizione porta Bernat a calarsi nei panni di un bambino e a chiedere ai commercianti di collocare gli espositori non dietro al balcone, ma accanto alla cassa, in modo che i Chupa Chups fossero perfettamente in vista e alla portata dei più piccoli. Il prezzo di vendita? Chiaro e semplice, una peseta il pezzo.
Il nome è stato scelto dagli stessi consumatori, ed è ancora più semplice (chupar in Spagnolo significa succhiare). Insomma, gli ingredienti per il successo commerciale c’erano tutti, mancava solo il tocco d’artista.
E arrivò, nel 1968, quando Salvador Dalì disegnò il logo del prodotto, tracciando la celebre margherita gialla – si racconta – su un foglio di carta da giornale. Un’immagine semplice ma inconfondibile, come solo un grande artista saprebbe fare, e che ancora oggi, se pur con piccole modifiche, identifica nel mondo i Chupa Chups.
Molto più che il gusto (ne esistono più di cento, dai classici come la fragola agli aromi di tendenza più attuali, come il macha), è proprio il marchio, insieme alla forma, a rendere inconfondibili queste delizie senzatempo.