Riformare la legge sull’aborto e facilitare il diritto a interrompere la gravidanza. Con questo obiettivo a Dublino lo scorso fine settimana è andata in scena la protesta di un migliaio di donne e giovani, scese in piazza anche per ricordare il caso che scosse l’Irlanda il 28 ottobre del 2012. Dieci anni fa.
Quel giorno Savita Halappanavar, una trentunenne di origini indiane incinta, morì per setticemia a Galway dopo l’inizio di un aborto spontaneo. La ragazza chiese di interrompere la gravidanza giunta alla diciassettesima settimana, ma i medici glielo impedirono: si sentiva ancora il battito cardiaco del feto e in Irlanda – nazione dalla lunga tradizione cattolica – era ancora in vigore l’ottavo emendamento della Costituzione, quello che equiparava il diritto alla vita di madre e feto.
La morte di Halappanavar accese il dibattito pubblico, riempiendo le piazze del paese, tanto da portare nel 2018 all’abrogazione dell’emendamento dopo un referendum in cui più del sessantasei per cento dei votanti si schierò per eliminarlo. Tuttavia, sabato scorso le donne irlandesi hanno manifestato di nuovo e il motivo è sempre la normativa sull’aborto. Oggi in Irlanda si può interrompere la gravidanza fino alla dodicesima settimana: successivamente si può soltanto in caso di grave minaccia alla vita o alla salute della madre, oppure in caso di anomalie fatali nel feto.
Le partecipanti alla marcia hanno chiesto nuove riforme. In primis, rendere possibile abortire anche dopo le dodici settimane di gravidanza, così come eliminare l’obbligo del periodo di attesa, ovvero tre giorni, da quando una donna richiede l’aborto a quando può iniziare la procedura.
L’altra rimostranza che si è alzata dalle strade di Dublino è quella di facilitare l’accesso in tutto il Paese ai servizi ospedalieri che prevedono l’aborto. C’è infatti un’evidente difficoltà per la popolazione di alcune aree ad accedere ai servizi, che costringe le persone a spostarsi e viaggiare per chilometri e chilometri prima di raggiungere una struttura adeguata dove poter abortire.
L’allarme lo lancia il National Women’s Council (Nwc), un’organizzazione irlandese composta da più di centonovanta associazioni in difesa dei diritti delle donne, tra i promotori della marcia di sabato scorso. Nonostante il passo in avanti del 2018, per il Nwc solo un General practitioner (praticamente il medico di famiglia) su dieci in Irlanda fornisce i servizi per l’aborto; in alcune zone del nord ovest del paese e nella contea di Sligo c’è un accesso molto limitato; infine, gli ospedali per la maternità che praticano l’aborto sono poco più della metà del totale. Una situazione insostenibile secondo il Nwc, voce di tante ragazze, giovani e donne irlandesi che premono affinché venga creato un memorial per ricordare la storia di Halappanavar.
Nella manifestazione di Dublino sono state coinvolte non solo le donne che nel 2012 hanno protestato per la morte della 31enne, ma anche le giovani generazioni che oggi guardano ai tentativi di ribellione delle donne in Iran per avere maggiori diritti o che hanno osservato con preoccupazione la recente decisione della Corte suprema statunitense di ribaltare la sentenza Roe vs Wade sul diritto all’aborto. Il Taoiseach (premier) irlandese Micheal Martin a luglio ha confermato che è attualmente in corso a livello parlamentare una revisione delle norme sull’interruzione di gravidanza che dovrebbe essere portata a termine entro la fine dell’anno.
Nel frattempo, la situazione nel Nord Irlanda non è migliore. L’aborto nelle sei contee è stato depenalizzato soltanto nel 2019, con l’intervento diretto di Londra. E il 24 ottobre il segretario di Stato per l’Irlanda del Nord Chris Heaton-Harris ha di fatto commissariato il Dipartimento della salute nord-irlandese perché non garantiva un libero accesso all’aborto nella regione britannica. Heaton-Harris ha spiegato come non ci fosse altra opzione: «Le donne e le ragazze in Irlanda del Nord sono state private di sicurezza e dei servizi di alta qualità».
Una condizione «inaccettabile» – ha aggiunto il ministro – che ha costretto «molte a doversi recare nel resto del Regno Unito per accedere all’assistenza sanitaria a cui hanno diritto». Londra, inoltre, erogherà fondi e finanziamenti per la formazione e il reclutamento del personale necessario affinché i servizi possano essere garantiti per tutti nelle sei contee.
La marcia dell’isola irlandese per il diritto ad abortire continua.