«La lotta ai cambiamenti climatici fa passi avanti, ma non abbastanza». Ad evidenziarlo ulteriormente è stato anche il report State of climate action 2022, che ha analizzato i progressi compiuti nella lotta alla crisi climatica nei settori che insieme rappresentano circa l’85 per cento delle emissioni globali di gas serra. Sono quelli dell’energia, degli edifici, dell’industria, dei trasporti, delle foreste e del territorio, del cibo e dell’agricoltura.
Secondo il report, confrontando gli sforzi attuali con quelli richiesti per raggiungere i traguardi climatici che ci siamo posti, emerge uno scenario ben poco rassicurante: tra i quaranta indicatori analizzati dagli esperti, neanche uno è sulla buona strada per centrare gli obiettivi al 2030. Siamo fuori strada: sei indicatori si muovono nella direzione giusta e a una velocità promettente ma non sufficiente, ventuno vanno nella direzione giusta ma a un ritmo molto inferiore del necessario e cinque indicatori si stanno addirittura muovendo in una direzione completamente sbagliata per la quale serve un’inversione “a U”. Tra questi, «quello che è particolarmente preoccupante è l’aumento della produzione di energia da gas fossile nonostante la disponibilità di alternative più ecologiche e a basso costo».
In Europa ogni anno muoiono prematuramente quasi trecentomila persone per motivi legati allo smog, specialmente ai livelli delle particelle inquinanti PM 2,5 che sono stati superiori alle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) di oltre il settantacinque per cento in dieci anni. Molte di più, inoltre, soffrono di malattie cardiache e polmonari o di tumori innescati dall’inquinamento. Più aspettiamo per ridurlo, maggiori saranno i costi per la società.
Anche in Italia, dove l’emergenza smog è ormai diventata cronica per diverse città – come rileva il nuovo dossier «Mal’Aria – Verso città mobilità zero emissioni» realizzato e presentato da Legambiente nell’ambito delle attività della campagna Clean Cities in Italia. Dall’analisi delle città prese in esame, nella parte relativa ai principali inquinanti atmosferici (polveri sottili PM10 e 2.5 e biossido di azoto – NO2), emerge che in molti casi la situazione è da codice rosso: le città di Torino, Milano e Padova si trovano già fuori dai limiti di legge rispettivamente con sessantanove, cinquantaquattro e quarantasette giornate annue di sforamento. Le situazioni critiche sono parecchie. Come per Parma con venticinque sforamenti, Bergamo e Roma con ventitre e Bologna con diciassette che nella prima metà dell’anno hanno già consumato la metà dei giorni di sforamento a disposizione. E come per Palermo e Prato con quindici sforamenti, Catania e Perugia con undici e Firenze con dieci.
La riduzione dell’inquinamento, in particolare nelle regioni padane, è dunque una priorità che secondo Legambiente deve essere perseguita con urgenza non solo attraverso interventi sull’agricoltura o con il sostegno alla riconversione degli impianti di riscaldamento: a fronte dell’innalzamento del prezzo dei combustibili fossili, in particolare del metano, si stima un incremento dell’utilizzo degli impianti di riscaldamento a biomassa come stufe e camini, i quali – già negli anni passati – hanno contribuito negativamente alla qualità dell’aria).
Il problema si contrasta anche (e soprattutto) agendo sulla mobilità urbana: «I fondi destinati al comparto delle infrastrutture di collegamento non possono essere sprecati per finanziare progetti vecchi e nuovi di autostrade, che sono causa di aumento delle emissioni – afferma Legambiente – trasporto pubblico e infrastrutture ferroviarie devono essere al centro della strategia di investimenti delle Regioni sul trasporto».
Eppure, nonostante il tema della mobilità sostenibile sia uno tra i più sfidanti per le aree urbane, le persone continuano a ritenere l’automobile un bene irrinunciabile, che rappresenta sempre la prima scelta per gli spostamenti da casa al luogo di lavoro o a scuola. È un dato di fatto che emerge dal recentissimo convegno “La mobilità sostenibile nelle aree urbane: la situazione attuale e le prospettive future”, organizzato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).
In Italia il parco auto nazionale cresce costantemente: i dati Aci ci dicono che a fine 2021 abbiamo raggiunto la quota record di quasi quaranta milioni di autovetture. E per quanto i dati ci dicano anche che la situazione italiana non rappresenti un unicum – ma al contrario sia in linea con il trend europeo dove, fatta eccezione per la Bulgaria, tutti gli Stati hanno visto crescere nel tempo il proprio parco auto sino a raggiungere i duecentocinquanta milioni di mezzi circolanti a fine 2020 – ci troviamo in un contesto dove il mal comune non si configura di certo come un mezzo gaudio.