La controversa gestione del caso Ocean Viking è stata la scintilla, ma la volontà di intervenire sui salvataggi in mare covava da tempo sotto la cenere. «Regolamentare l’attività delle Organizzazioni non governative» è l’obiettivo dichiarato del governo italiano, che trova parzialmente sponda anche a Bruxelles. Ma alle Ong «non servono nuove regole», sostengono i rappresentanti di Sos Mediterranée, Medici Senza Frontiere, Mission Lifeline, Sea-Watch e Open Arms, approdati a Strasburgo in vista di un dibattito sul tema al Parlamento europeo.
La posizione italiana è stata espressa in maniera netta al Senato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: «La presenza di assetti navali delle Ong in prossimità delle coste libiche continua a rappresentare un fattore di attrazione». È il cosiddetto pull-factor: dinamica per la quale le navi dedite al salvataggio di persone in mare incentiverebbero sia i migranti a partire, perché rassicurati, sia i trafficanti di esseri umani a salpare, ben contenti di compiere un tragitto inferiore.
Questa convinzione poggia, come ha detto Piantedosi, su un rapporto confidenziale redatto dall’agenzia Frontex, la Guardia di frontiera e costiera europea, e relativo al periodo tra gennaio e maggio 2021. Il documento non è pubblico, ma l’agenzia AdnKronos ne ha rivelato alcune conclusioni: quella citata da Piantedosi nella sua informativa al Senato e un’altra secondo cui «in assenza delle navi, molti si rifiutano di partire».
Contattata da Linkiesta, Frontex non ha commentato le frasi trapelate alla stampa, né confermato l’esistenza del documento. Anche un’interrogazione di cinque eurodeputati della Lega alla Commissione europea è rimasta per ora senza risposta.
Il rapporto, di cui non si conosce il contenuto integrale, sembra in contraddizione con uno studio svolto dai ricercatori Eugenio Cusumano e Matteo Villa per l’European University Institute, secondo il quale non esiste una reale correlazione tra le partenze di imbarcazioni dalla Libia e la presenza di navi Ong nell’area marittima più adiacente al Paese nordafricano.
Anche per il periodo del rapporto, sostiene Matteo Villa, non ci sono evidenze. Secondo i dati da lui raccolti, nei primi quattro mesi e mezzo del 2021 sono partiti in media 125 migranti al giorno nei giorni di presenza delle navi Ong e 135 senza.
Ma è proprio la convinzione dell’esistenza di questo pull-factor a ispirare la strategia del governo italiano nei negoziati in Europa sul tema migratorio. Come spiegato a Linkiesta da fonti diplomatiche, l’obiettivo è ottenere una sorta di quadro regolatorio europeo per organizzazioni private che effettuano i salavataggi. Se non proprio un «codice di condotta» comunitario, un documento di linee-guida che stabilisca regole più stringenti per l’attività di soccorso. Il riferimento implicito è ai 13 punti stilati nel 2017 dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti. Tra questi ci sono l’impegno a non entrare nelle acque territoriali libiche e non ostacolare l’attività della Guardia costiera libica; quello a non inviare segnalazioni
luminose visibili dalla costa; quello a coinvolgere le autorità del Paese di cui battono bandiera e a seguire le istruzioni del centro di coordinamento marittimo competente e quello a non spegnere il transponder, cioè il dispositivo che consente di tracciare la rotta di una nave.
L’Europa e le Ong
L’Italia porterà queste misure al tavolo del Consiglio straordinario dei ministri degli Interni previsto per venerdì 25 novembre a Bruxelles. L’esordio di Matteo Piantedosi con i suoi omologhi è stato preceduto da un «Piano d’azione per il Mediterraneo centrale»: un documento in 20 punti pubblicato dalla Commissione europea. Certo questa rotta migratoria ha visto nei primi 10 mesi del 2022 un incremento del 59% rispetto all’anno scorso, ma la presentazione del piano risponde anche e soprattutto a una forte pressione italiana sul tema.
Il ministro dell’Interno, non a caso, si dichiara «soddisfatto dei contenuti», che si dividono in tre parti: una dedicata alla cooperazione con i Paesi di partenza e di transito dei migranti, una al meccanismo volontario di redistribuzione dei richiedenti asilo nell’Unione Europea, e una proprio a un «Approccio più coordinato delle attività di ricerca e soccorso».
In particolare, al punto 17 si esprime l’intenzione di promuovere una discussione in seno all’Organizzazione marittima internazionale su un «quadro specifico e linee-guida per le imbarcazioni focalizzate nella ricerca e salvataggio». Con la consueta diplomazia del linguaggio comunitario, anche la Commissione adombra l’ipotesi di rinforzare le regole.
«L’Unione Europea non deve inventarsi nessuna nuova legge, perché noi rispettiamo già tutte le norme internazionali», dice a Linkiesta Sophie Scheytt di Sea-Watch. L’Ong tedesca, come quasi tutte le altre, ha tra l’altro sottoscritto il codice di condotta italiano del 2017. «Era un codice quasi superfluo, perché ribadiva in sostanza quanto già sancito dalle convenzioni internazionali», afferma. «È fisicamente impossibile che dalle zone in cui operano le nostre navi si possano inviare segnali luminosi visibili dalla costa: questo dimostra l’assurdità delle accuse che ci vengono rivolte».
Secondo Valentina Brinis di Open Arms, l’eventuale quadro regolatorio sarebbe soprattutto un «segnale politico». «È uno strumento di propaganda utilizzato per rinforzare la narrativa falsa secondo cui le Ong agiscono in maniera irregolare», spiega a Linkiesta dopo la conferenza stampa congiunta.
I rappresentanti delle differenti organizzazioni che operano nel mediterraneo hanno ribaltato sulle istituzioni europee le critiche di mancata trasparenza e difettosa comunicazione, visto che il loro punto di vista non potrà essere espresso al Consiglio affari interni. Dal Parlamento di Strasburgo provano a confutare l’accusa del governo italiano di costituire un pull factor, sottolineando di aver trasportato soltanto il 15% delle persone migranti approdate in Italia. «Non siamo taxi, salviamo vite», è stato ripetuto più volte.
Aspetteranno un eventuale testo legislativo europeo prima di fissare i propri paletti, ma annunciano che si opporranno a qualunque misura che sia «in contrasto con il diritto internazionale».
Tra le più combattive c’è sicuramente Medici Senza Frontiere, che intanto ha appena presentato ricorso contro il decreto interministeriale notificato dal governo italiano il 5 novembre a una delle sue navi. Era la Geo Barents, che si trovava a largo di Catania con 572 migranti a bordo e che è stata poi autorizzata a sbarcare soltanto parte delle persone che trasportava. Proprio i cosiddetti «sbarchi selettivi» imposti alla Geo Barents e alla nave Humanity1 e l’incidente diplomatico sulla Ocean Viking sono i primi episodi di una nuova battaglia, sia retorica che pratica, contro le Ong.
A combatterla per ora è il governo italiano, che cercherà di trascinare nella sua crociata tutta l’Unione Europea.