Le tre opposizioni che ruotano attorno al governo Meloni seguono orbite diverse. Il tempo dirà quale sarà la più efficace. E se arriveranno a incontrarsi o a collidere. Intanto c’è la ridicola guerricciola delle piazze. Il Partito democratico ha prenotato per il 17 dicembre la storica Piazza Santi apostoli dove si festeggiavano le vittorie dell’Ulivo, roba ingiallita da dagherrotipo. Per essere coerente contro gli «odiatori» dei poveri, Giuseppe Conte dovrebbe prendersi Piazza del Plebiscito a Napoli per fare il Masaniello con il reddito di cittadinanza nel taschino della giacca al posto della pochette. Ma è troppo grande per essere riempita anche dall’elevato numero di precettori locali di quel reddito.
È il gioco a chi ha prenotato prima, come se questi girotondi bastassero per riscattare la sconfitta elettorale e far ricredere gli elettori di avere sbagliato a votare per il centrodestra.
Carlo Calenda non si intruppa nelle piazze (non gliene può frega’ de meno). Prova la strada di porgere una gelida manina alla premier, che avrebbe tanto bisogno di essere aiutata, consigliata perché in fondo è una novellina, ha poca esperienza di governo.
Le ha chiesto di incontrarsi per darle qualche dritta, per sconsigliare Quota 103 («idea idiota»), mettere da parte la flat tax, sostituire il reddito di cittadinanza con il reddito di inclusione potenziato e gestito dai Comuni, rendere permanente il taglio del cuneo fiscale, azzerare i contributi per le assunzioni fino a 25 anni, salario minimo di 9 euro all’ora. Più soldi alla Sanità, soprattutto. Con questa contromanovra sotto il braccio, Calenda la prossima settimana dovrebbe varcare il portone di Palazzo Chigi. Il condizionale è veramente d’obbligo perché l’incontro ha il sapore del bluff.
Intanto è chiaro che Meloni difficilmente (anzi possiamo dire che sarà impossibile) potrà cambiare i contenuti della sua legge di bilancio. Ha penato per mettere d’accordo i suoi alleati, ha dovuto fare l’equilibrista sulla fune draghiana, dovrà concedere qualcosina a Silvio Berlusconi. Il Cavaliere è stato tenuto all’oscuro di quello che stava scrivendo Giancarlo Giorgetti a Via XX settembre, mentre Matteo Salvini incassava Quota 103 e quella succulenta flat tax al quindici per cento per le partite iva fino a ottantacinquemila euro. Insomma, non ci sarà trippa per il gatto Carlo, ma lui lo sa.
È perfettamente consapevole del bluff della premier che ha accettato di incontrarlo per mettere paura a Zio Silvio, alla sua fronda parlamentare. Il capo di Forza Italia avrebbe voluto le pensioni minime a mille euro e si sarebbe accontentato di portarle a seicento euro, ma neanche quello gli vogliono dare gli ingrati alleati. Ora si batterà in Parlamento per raggiungere questa cifra, per sbloccare i crediti relativi al super bonus, perché a casa dell’inventore di Milano 1 e Milano 2 le richieste dei costruttori dell’Ance hanno sempre un certo effetto. Berlusconi vorrebbe pure un ulteriore stretta al reddito di cittadinanza. Vedremo cosa otterrà. Ci dovranno pesare i capigruppo di Forza Italia Ronzulli e Cattaneo con i loro emendamenti a portare ad Arcore un po’ di soddisfazione.
Se Berlusconi spera che Tajani si metta a fare la voce grossa in Consiglio dei ministri, con tutti i viaggi provvidenziali che il ministro degli Esteri ha in agenda per non mettersi contro l’asse Meloni-Giorgetti, continuerà a rimanere afono nel governo. Da qui le battute sulfuree del vice presidente della Camera Giorgio Mulè, che ha definito la manovra una «tisana» e del direttore del Giornale Augusto Minzolini per il quale la legge di bilancio non ha il «quid», è «senza guizzi». E guarda caso ieri lo steso quotidiano della real casa berlusconiana ha esplicitato i timori del Cavaliere con un titolo in grande evidenza in terza pagina «Meloni teme i dubbi Forza Italia» e «ascolta Calenda».
È il gioco dei quattro canti: si paventano sostituzioni dei voti parlamentari dei berluscones con quelli di una parte dell’opposizione, del Terzo Polo; si minacciano figuracce come quella fatta da Forza Italia in occasione dell’elezione di Ignazio La Russa a presidente del Senato. Le mosse di Palazzo Chigi potrebbero funzionare se Calenda abboccasse, come lo accusano dal Partito democratico. Non sarà così. «Non ci sono oscure trame o promesse di stampelle», assicura il leader di Azione, che ringrazia Meloni per la disponibilità, rivendicando il tentativo di «normalizzare» il confronto politico per mettere fine alla «perenne guerra tra nemici».
Andrà all’incontro per vedere le carte che ha in mano la premier, per smarcarsi dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle. Per far vedere a un certo elettorato che la sua non è un’opposizione pregiudiziale e di piazza, ma è fatta di proposte. Che sia un bluff, quello di Meloni per mettere in riga le truppe azzurre, è fin troppo chiaro. Giovanbattista Fazzolari (il sottosegretario alla presidenza del Consiglio non è uno che parla in libertà senza prima avere sentito Meloni) ha attaccato a testa bassa Calenda dicendo che se ha «idee geniali» verranno messe nella legge di bilancio: «Purtroppo finora non sono arrivate». Poche ore dopo Palazzo Chigi ha fatto filtrare la notizia che la prossima settimana ci sarà l’incontro.
Ci siamo informati un po’ e ci è stato risposto che tutto dipende dagli impegni che avrà «il presidente del Consiglio». Fratelli d’Italia gioca con le parole: «L’incontro si farà alle “Calende” greche…».
Se la storia non fosse maledettamente seria un sorriso potrebbe scapparci. Ma la premier troverà il tempo per mettere un po’ di sale sulla coda di Berlusconi, tranne se alla fine nella maggioranza verranno concordati gli emendamenti alla manovra da approvare.