La dottrina del CONTEinment Il cedimento strutturale del Pd sull’Ucraina e il dormiveglia di quel che resta dei riformisti

Le improvvise ambiguità dei dirigenti sugli aiuti a Kyjiv cominciano a smantellare l’unica posizione adulta presa da Letta nell’ultimo anno. Una fine ingloriosa per inseguire la propaganda putiniana di Conte. Ma Bonaccini che cosa aspetta?

AP/Lapresse

È probabile che nel Partito democratico si riapra la discussione sulle armi all’Ucraina. Una questione che in questa fase non è nei pensieri del partito, tutto preso dal congresso (che oggi di fatto prenderà il via con l’Assemblea nazionale che dovrebbe fissare le primarie per il 19 febbraio) ma che l’agenda parlamentare riporterà alle cronache: il 29 novembre infatti ai discuterà alla Camera la mozione del Movimento 5 Stelle, prima firma Giuseppe Conte, in cui si chiede l’avvio di negoziati di pace e ovviamente si elude la questione del sostegno concreto alla Resistenza mediante l’invio di armi: una ennesima mossa dell’avvocato del populismo per caratterizzarsi come la voce parlamentare della manifestazione del 5 novembre e mettere in difficoltà il Partito democratico.

I dem invece dovrebbero presentare una propria mozione molto chiara su questo punto delle armi tante volte ribadito da Enrico Letta e sin qui condiviso da quasi tutti i dirigenti, e però non sfugge che molte cose al Nazareno stiano cambiando e che con il passare dei mesi stia prendendo piede proprio la posizione della manifestazione del 5 novembre (alla quale peraltro era presente anche Letta) tutta tesa allo stop delle armi e all’avvio di trattative, “dimenticando” che pochi giorni dopo la manifestazione romana gli ucraini hanno riconquistato Kherson con le armi, e che con le armi si devono difendere dalla nuova offensiva missilistica di Mosca.

Sul punto, per esempio, nella sua intervista a Repubblica Elly Schlein ha svicolato. Bene le armi nella prima fase «ma ora è una fase diversa, sono passati molti mesi e serve uno sforzo politico e diplomatico dell’Ue per il cessate il fuoco e una conferenza di pace».

Ma intanto aiuti sì o aiuti no, chiede il giornalista Stefani Cappellini. Risposta: «Bisogna discutere insieme i due piani, speriamo che la liberazione di Kherson possa aprire la strada a ciò che è mancato in questi mesi e che anche la piazza di Roma chiedeva».

Se la posizione di una candidata alla segreteria del Partito democratico è così evidentemente sfuggente, è immaginabile che non solo lei, neo deputata, avrà problemi a votare una mozione in cui sia messo nero su bianco che gli aiuti militari devono proseguire.

Nel gruppo parlamentare non c’è solo Schlein ma molti deputati su questa (non) posizione, da Graziano Delrio a Gianni Cuperlo a Laura Boldrini.

D’altronde il capogruppo del Partito democratico all’Europarlamento Brando Benifei, uno di quelli che vorrebbe fare un «nuovo Pd» molto più spostato a sinistra, il più possibile lontano dal Terzo Polo, ha spiegato al Manifesto che «nei mesi scorsi il sostegno militare si è rivelato necessario. Oggi non si può continuare ad inviare armi se non è chiaro cosa stiamo facendo. Questo è il momento in cui l’Europa deve fare fino in fondo il suo ruolo sul fronte diplomatico, non possiamo restare schiacciati sulle posizioni americane. E il Pd deve superare una postura troppo militare».

Archiviato il governo Draghi, è come se fossero caduti i veli che per senso di opportunità coprivano l’antiamericanismo di fondo di questa parte del gruppo dirigente, ed è un po’ lo stesso meccanismo psico-politico che ispira le posizioni sul lavoro, con il jobs act additato come la causa forse principale della disfatta del 25 settembre.

Insomma, la regressione del Partito democratico sui contenuti non si spiega solo con il passaggio all’opposizione, che peraltro al governo sta facendo il solletico, ma con un rinculo su posizioni antiriformiste nel tentativo di far concorrenza a Conte sul suo terreno, alla ricerca di quel consenso “di sinistra” che il nuovo posizionamento demagogico dell’avvocato foggiano gli ha sottratto.

Di qui lo scoramento della sinistra dem, forse consapevole di aver creato un mostro (il «fortissimo punto di riferimento dei progressisti») che si è rivelato talmente fortissimo da mangiarseli spicchio a spicchio proprio con la ricetta populista-clientelare del reddito di cittadinanza da una parte e il “pacifismo” neutralista dall’altra.

Uno scoramento cui Andrea Orlando reagisce alzando la posta coniando la formula del «socialismo ecologico che raccolga anche la storia del cristianesimo sociale», qualcosa di più complesso della piattaforma abbozzata da Elly Schlein e diametralmente opposto (incompatibile?) con le idee del riformismo di governo.

Per tenere la barra dritta sul sostegno concreto all’Ucraina l’ammaccato prestigio di Letta non basta più. Anche per questo sarà importante la scesa in campo di Stefano Bonaccini che sarà annunciata tra qualche giorno.

La sinistra sta parlando molto, fino ad essere padrona del campo, ma il governatore dell’Emilia-Romagna sta organizzando una rete piuttosto robusta, dal Nord al Sud, su una linea di rinnovamento generazionale nel quadro di una piattaforma politica riformista molto distante dalla competitor Schlein.

Su questo sfondo congressuale dunque torna a irrompere il tema del sostegno all’Ucraina che, come si capirà, è un po’ più importante delle diatribe sui candidati alle Regionali in Lombardia e nel Lazio, perché la chiarezza su questo punto non è solo un impegno politico ma un dovere morale. E una spaccatura sarebbe l’inizio della fine.