I candidati alla segreteria del Partito democratico non potranno cavarsela proclamando buoni principi. Gli scoraggiati affezionati a questo martoriato partito, uscito con le ossa rotte dal voto del 25 settembre, vorrebbero andare a votare per le primarie del 19 febbraio sapendo cosa pensano i pretendenti alla leadership su tasse, lavoro, pensioni, diritti civili, guerra in Ucraina. Come concretamente pensano di attraversare il deserto di un’opposizione affollata di concorrenti.
Non basta e non serve dire con chi allearsi se prima non è chiaro cosa pensano su alcuni temi importanti come l’autonomia differenziata, che ha la sua radice nella devolution: un progetto che sta a cuore da sempre alla Lega e in particolare modo al governatore del Veneto Luca Zaia.
Non è un caso che Matteo Salvini, che su questo terreno si gioca la segreteria dopo il pessimo risultato elettorale, abbia voluto a tutti i costi al Ministero per le Regioni e l’Autonomia Roberto Calderoli, un leghista della prima e dell’ultima ora.
Non è necessario spendere altre parole per spiegare quanto nevralgica sia dal punto di vista politico l’autonomia differenziata. Per non parlare dell’altro “piccolo” aspetto: l’unità del Paese, la spaccatura tra Regioni del Nord e del Sud con il passaggio di competenze, poteri e di un fiume di denaro (si calcola che alle Regioni del Nord andrebbero ventuno miliardi in più).
Ecco allora che la chiarezza dei candidati alla segretaria del Partito democratico è fondamentale, soprattutto per le ambiguità che finora hanno avvolto la posizione di Stefano Bonaccini. Il governatore dell’Emilia Romagna recentemente ha frenato di fronte al fuoco di sbarramento dei suoi colleghi meridionali, anche di quelli del centrodestra.
Ad esempio, il calabrese Roberto Occhiuto è sulle barricate da tempo e se ne frega se in Veneto e in Lombardia sono stati votati dei referendum. Il governatore di Forza Italia, che può vantare un certo consenso rispetto al suo partito e tra gli elettori della sua Regione, la pensa come il presidente della Campania e della Puglia. «C’è l’idea – spiega De Luca – di fare un fronte. Abbiamo un’intesa con la Puglia, la Basilicata, la Calabria, il Lazio, il Molise, ma credo che ci sia un dibattito aperto anche nel centro e nel nord del Paese». De Luca, che ha chiesto tranchant il ritiro del disegno di legge Calderoli, è uno da cui passa la vittoria o la sconfitta di Bonaccini alle primarie. Stesso discorso vale per Michele Emiliano.
Bonaccini, nel discorso con cui si è candidato, ha detto che non si farà condizionare dalle correnti, che vuole invece valorizzare gli amministratori, i sindaci, chi lavora tutti i giorni negli enti locali. Appunto. Deve tenere in conto ad esempio le critiche del sindaco dem di Bari Antonio Decaro, che è pure presidente dell’Anci, e di quello di Napoli Gaetano Manfredi. Il quale invita «a declinare in maniera chiara e limpida un’idea di Paese». Per poi aggiungere un messaggio esplicito: «Sull’autonomia il Pd sconta quell’ambiguità che deriva dal fatto di avere l’Emilia Romagna a guida Pd, con il Governatore Bonaccini, una regione-pilota che richiede il trasferimento di denaro e settori di influenza».
Quale è l’idea di Paese che hanno Elly Schlein e Bonaccini, i pretendenti a un trono senza regno? La domanda è più pregnante per il secondo per il solo fatto che l’accordo sull’autonomia differenziata dovrà essere sottoscritta tra il governo e la Conferenza regionale entro il 2023. Forse non è un caso che tre giorni prima della sua candidatura, Bonaccini abbia frenato rispetto alla tentazione di legarsi alle richieste di Zaia, che ha sempre citato la disponibilità emiliana per dimostrare che anche la sinistra vuole andare in quella direzione. Una disponibilità e una direzione comune espresse in un loro incontro del 18 febbraio: «Siamo in attesa che Draghi batta un colpo».
Bonaccini non pretende che alla sua Regione vengano attribuite 23 competenze, come vuole Zaia, comprese istruzione, energia e trasporti. Il governatore del Partito democratico ne chiede solo sedici, e tra queste non c’è la scuola. Ma la sua via emiliana all’autonomia non convince neanche il sindaco di Bologna, Virginio Lepore. Così ha dovuto mettere il piede sul freno alla vigilia dell’annuncio della sua candidatura.
Tre giorni fa, dopo la riunione dei governatori con il ministro Calderoli, Bonaccini ha precisato che bisogna prima definire i livelli essenziali di prestazione ovvero i servizi che lo Stato deve garantire a tutti i cittadini. Non vuole che ci siano venti scuole diverse, con le Regioni più ricche che pagano e attirano i migliori insegnanti. Non è d’accordo con la spesa storica che vede nel Sud il fanalino di coda, spaccando in due l’Itala. Ma non ha detto nulla sulla sanità, l’energia e i trasporti. Soprattutto, non ha ripetuto quello che sostengono De Luca ed Emiliano: «Quando si accorgeranno che con l’autonomia differenziata dovranno compensare il sud, che riceve meno del nord, non avranno la stessa determinazione di oggi».
Sicuramente Bonaccini non vuole che il progetto di Calderoli venga ritirato, ma la polemica tra il ministro leghista e il popolare governatore campano ha preso una piega imbarazzante per chi vuole fare il segretario del Partito democratico. «Io non so – ha detto Calderoli in una intervista al Corriere della sera – se chi parla in questi giorni sia Vincenzo De Luca, Crozza che fa De Luca, o un terzo De Luca». Ma nella «proposta di intesa firmata nel 2019 dal “furbacchione” governatore della Campania», la Regione «chiese quelle autonomie che oggi dividerebbero il Paese». De Luca ha risposto di provare «una profonda commozione» per il fatto che un ministro per le Riforme si accorga, dopo quattro anni, che fra le regioni che chiedono un confronto con il Governo c’è anche la Campania.
Forse Bonaccini, per iniziare con cognizione di causa la campagna per la segretaria, farebbe bene a leggere l’intervista del costituzionalista Sabinio Cassese sulla Stampa di ieri. Titolo: «L’autonomia voluta dalla Lega ferisce l’unità del Paese».