Il Partito democratico conferma il suo sì all’invio di armi all’Ucraina, naturalmente condito dall’auspicio di un processo che porti alla trattativa e alla fine della guerra, moltiplicando gli sforzi della comunità internazionale in questa direzione.
Ma sul punto dolente che lacera la sinistra italiana, appunto la conferma del sostegno militare a Kyjiv, la mozione che il Partito democratico porterà in aula alla Camera martedì 29 è chiara: proseguire sulla strada del governo Draghi, ed è la stessa posizione del Terzo Polo (che, se il testo del Partito democratico sarà netto, in teoria potrebbero convergere). Opposta, su questo punto cruciale, è la linea degli alleati del Partito democratico di Sinistra-Verdi che come il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte metteranno nelle loro mozioni il no all’invio di nuovi armamenti.
Alla prima prova, la “piccola alleanza” elettorale messa su da Letta si dividerà clamorosamente. E sarà da vedere se il testo del Partito democratico soddisferà tutte le anime del partito tra le quali com’è noto vi sono quelle più vicine al pacifismo/neutralismo che rifiuta di sostenere la Resistenza ucraina anche con le armi, un’anima che per altro verso è venuta fuori a Strasburgo con il voto contrario alla definizione della Russia come «Stato sponsor del terrorismo», una scelta, secondo tre eurodeputati dem che hanno detto no alla risoluzione, che impedisce una trattativa con Putin (che non pare esattamente all’ordine del giorno).
Se il Partito democratico terrà su questa linea sarebbe una buona notizia che potrebbe chiudere sul nascere una ferita alla vigilia della campagna congressuale e anche la dimostrazione che almeno su questo il gruppo dirigente regge.
In ogni caso, l’impressione è che le mosse del Nazareno siano ispirate a cercare nei pascoli della sinistra, nelle sue varie declinazioni, il proprio avvenire, un po’ per ostacolare l’opa ostile di Giuseppe Conte e un po’ per avversione alla seconda opa, quella del Terzo Polo.
Alla ricerca della famosa identità, come abbiamo già scritto, non può mancare un classico della sinistra: un grande Comitato per guidare la “fase costituente” (più o meno il Partito democratico più Articolo Uno più Demos, vicina a Sant’Egidio) e scrivere un Manifesto dei valori del partito che superi quello originario e perfettamente attuale varato nel 2008.
Senza capire, come diceva spesso Alfredo Reichlin citando Togliatti che «l’identità di un partito è la sua funzione», dunque meno documenti e più senso della propria collocazione nella realtà politica. E così ieri la Direzione ha reso noto l’elenco del Comitatone «costituente per il nuovo Partito democratico» i cui «garanti» sono Enrico Letta e Roberto Speranza (a suggellare il rientro di Articolo uno, la formazione bersaniana che si era scissa dal Partito democratico nel febbraio 2017 e che in questi anni non ha avuto un grandissima fortuna elettorale tanto che alle ultime politiche non si è presentata da sola facendo eleggere alcuni dei suoi nelle liste dem), ed è una lista di 46 esponenti dem più 41 esterni.
Si nota un evidente preponderanza di dirigenti e intellettuali che molto hanno criticato in questi anni quelle idee riformiste che pure avevano avuto grande spazio non solo negli anni di Matteo Renzi ma anche prima. Come dice Arturo Parisi, il percorso intrapreso da Letta tende al «ricongiungimento con D’Alema e Bersani e la definitiva rottura con Renzi»: e il Comitatone ne è lo specchio.
Non c’è, com’era stato ventilato, il professor Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio di cui abbiamo parlato recentemente per la sua posizione “pacifista” contraria al sostegno militare all’Ucraina, ma comunque figurano molte personalità vicine a questa linea e in generale su posizioni molto spostate a sinistra. Naturalmente ci sono fior di capicorrente e dirigenti di prima fila. Soprattutto della sinistra interna, e non è un caso.