I virus sono parassiti, parassiti genetici. La loro fama è (in parte) immeritata. Non ha deposto a favore della categoria il loro peggior rappresentante, il coronavirus che ha segnato un canonico “prima” e “dopo” nella nostra quotidianità. Ma in alcuni casi il rapporto che ci lega ai virus è simbiotico. Senza di loro, la vita sulla Terra non sarebbe la stessa. Per esempio, la nostra specie, che deve ai virus due tratti del suo prezioso Dna, non potrebbe portare a termine una gravidanza. «Sono gli angeli neri dell’evoluzione, grandiosi e terribili. Per questo vale la pena di comprenderli, anziché solo temerli o deprecarli».
L’ultimo libro di David Quammen, pubblicato (come gli altri) da Adelphi, ricorda quanto il Covid-19 abbia preso di sorpresa tutti, tranne i biologi. Erano un monito le sue opere precedenti, come quelle di alcuni dei ricercatori che ha intervistato nel suo nuovo lavoro. I titoli parlavano della «prossima pandemia» e non era battage editoriale. «Spillover», il salto da una specie all’altra, è diventato un termine di uso quasi corrente nelle nostre case in lockdown, ci siamo riciclati a Paese di virologi dopo un passato da c.t. della nazionale.
Eravamo affamati di certezze. La scienza è sempre «provvisoria»: ci sembrava un difetto, in realtà è la sua forza. In quei mesi abbiamo dato eccessivo credito a ipotesi fantasiose o, al più, «improbabili», perché alla fine il discorso è (anche) probabilistico. Non siamo guariti dalla xenofobia dell’ebola, già dimenticata. Il valore del libro è anche questo: smonta, a una a una, alcune teorie che sono diventate troppo in fretta “notizie” e non lo erano. Uno spillover anche quello, di fake news.
La zuppa di serpenti, la fuga dal laboratorio, la mattanza dei visoni o dei pangolini, i cani procione. Animaletti assurti a protagonisti del giorno, di cui ignoravamo persino l’aspetto. I media hanno colpevolmente rilanciato ricerche pre print (non ancora approvate né pubblicate) che sarebbero state cassate dalle riviste scientifiche e spesso ritirate dai rispettivi autori.
Non è un invito all’inerzia, tutt’altro. «Un virus nuovo, se la fortuna gira bene per il virus e male per noi, può attraversare la popolazione umana come un proiettile di grosso calibro penetra una tenera lombata di manzo». Va inteso come una spia sul cruscotto: il compito – della stampa, delle autorità sanitarie, delle istituzioni – è diffondere informazioni, non ansia.
Al tempo stesso, vanno garantite trasparenza e comunicazione. In fin dei conti, alle prime attestazioni pensavamo fosse un’influenza. Non lo era. In quei primi giorni dell’Apocalisse dalla Cina arrivano aggiornamenti di una «vaghezza frustrante». Nelle stesse ore viene chiuso il mercato di Wuhan, dentro una città di undici milioni di abitanti.
La spagnola è stata l’ultima pandemia di un’epoca – quella della peste bubbonica – dove i virus non si potevano ancora guardare al microscopio. Nel suo microscopio di carta, Quammen guida i lettori nelle vite ordinarie (e non) di straordinari scienziati, alle origini dei «parenti» meno celebri della famiglia dei coronavirus, dalla proteina spike che somiglia al velcro nel legarsi alle cellule dell’ospite, usate come una stampante 3D per replicarsi.
«Super diffusore» era un concetto vecchio, valeva già per l’Hiv, così novecentesca. Poi le prove generali. La Sars, nel 2003, quando «abbiamo schivato un proiettile» ma non abbiamo imparato – almeno, non in tutti i Paesi – che «una malattia in qualsiasi parte del mondo significa una malattia dappertutto». I virus a Rna mutano più velocemente di ogni altra specie sulla Terra. Così la maggior parte dei Paesi si farà trovare impreparato «per mancanza di immaginazione».
La Corea del Sud, memore di quella lezione, mobilita una macchina di tracciamento su scala nazionale e chiude tutto. Gli Stati Uniti perdono tempo (e vite). Il virologo della Casa Bianca Anthony Fauci, intervistato nel volume, rivendica la «decisione politica» di pronunciarsi contro il presidente Donald Trump, le cui sbandate rientrano in due sui tre casi di «magia» di cui scrive Quammen e che somigliano più al wishful thinking, il pensiero magico.
Il primo è aspettare che il virus se ne vada da solo, il secondo sperare nelle terapie farmacologiche della prima ora. Ricordate l’idrossiclorochina? L’Fda americana ritirerà l’autorizzazione d’emergenza concessa dietro le pressioni del presidente repubblicano. Infine, il mito dell’immunità di gregge, teorizzato anche dal premier inglese Boris Johnson: la strada per raggiungere quella fantomatica percentuale di immunizzati, il sessantacinque per cento della popolazione, sarebbe stata lastricata di morti.
L’unica «magia» che funziona sono i vaccini, rimasti però troppo a lungo una prerogativa del mondo ricco. In un paragrafo, Fauci propone il virus come metafora. Quelle di Quammen sono sorprendenti, mai un vezzo, ma sempre al servizio della chiarezza divulgativa. Anche quando si tratta di riconoscere che i virus fanno parte della vita. «Senza di loro non potremmo continuare a esistere, senza di loro non ci saremmo nemmeno alzati dal fango primordiale».
Non siamo i soli, insomma, a essere contagiati e contagiabili. L’esistenza stessa delle zoonosi – oltre a imporci di prevenirle, fermando per esempio il contrabbando illegale di animali selvatici vivi – è un’ammissione del nostro fisiologico egocentrismo. Un virus non esiste “solo” quando colpisce l’uomo. Prima di quel salto ci sono decenni, o secoli, di storia evolutiva. Molti visoni, abbattuti in massa in questa pandemia, erano stati infettati da umani prima di contagiarsi fra di loro e restituirci il favore.
Alfa, Beta, Gamma, Delta. Le varianti consumano l’alfabeto greco a disposizione dell’Oms. C’è la pressione della selezione naturale. È quella la costante, l’evoluzione. In un’immagine dell’autore: le gazzelle non correrebbero così veloci se non dovessero scappare dai leoni. «Il covid-19 non sarà l’ultima pandemia che vedremo nel ventunesimo secolo. Probabilmente non sarà la peggiore».
Nelle pagine di “Senza respiro” ogni tanto si ha l’impressione di ricostruire il colpevole di un delitto, però è una metafora che a Quammen non piacerebbe. Il libro ha la forza di un’inchiesta giornalistica, ma è scritta meglio. È una storia avvincente, tra aerei nella tempesta sopra la giungla tropicale e «cacciatori di virus» che immobilizzano pipistrelli nelle grotte per prelevare un campione. Siamo abituati a leggere di «cosa non ha funzionato», ma questa è la testimonianza di una comunità scientifica che era pronta e forse non è stata ascoltata abbastanza.
“Senza respiro” è l’ultimo libro di David Quammen, Adelphi, 256 pagine, ventisei euro