La notizia di questi giorni è che l’Italia si starebbe preparando a inviare all’Ucraina dei sistemi di difesa aerea ravvicinata e a medio raggio, assecondando così le richieste presentate da Kyjiv di fronte alla campagna di bombardamenti russi.
Questa è una novità forse secondaria nel grande schema delle cose, ma rivela molto sull’attuale politica di aiuti militari.
Incespicando negli otto mesi di guerra in Ucraina, Europa e Stati Uniti hanno più volte cambiato il loro approccio. I primi pacchetti d’aiuti militari erano soprattutto destinati a costruire una difesa asimmetrica contro quella che era, almeno su carta, una delle forze di combattimento meccanizzate più temibili al mondo.
Oggi, di fronte a ottusi assalti di fanteria russi e una massiccia campagna di bombardamenti ai danni delle infrastrutture civili, gli ucraini si ritrovano soprattutto nella condizione di dover preservare l’iniziativa strategica e difendere la propria popolazione nel lungo periodo. È ormai chiaro che questa guerra andrà avanti ancora per molto tempo, e superata l’emergenza acuta delle prime settimane, Kyjiv deve ora trovare un modo per rendere l’attuale sforzo bellico sostenibile.
Il cambio di passo russo
Ma più il tempo passa, più entrambe le parti si impegneranno a trovare soluzioni ai dilemmi operativi che si sono accumulati negli ultimi mesi. Come sappiamo, gli ucraini hanno saputo trovare una soluzione alla superiorità russa in termini di artiglieria tradizionale; hanno saputo utilizzare abilmente le batterie Himars americane, squarciando nuove crepe in un sistema logistico russo già fragile.
Mosca, d’altro canto, ha trovato una soluzione a basso costo, ma proprio per questo funzionale, alla penuria di sofisticati missili di precisione, acquisendo munizioni circuitanti (“droni kamikaze”) iraniane. L’arrivo di queste nuove capacità ha coinciso con un cambio di passo strategico per i russi, che alla soglia dell’inverno ha adottato una dottrina di bombardamento massiccio e de-popolazione reminiscente delle guerre in Cecenia e Siria.
Questo palleggio fra difficoltà economiche-militari, soluzioni tecnologiche e strategia è intrinseco ai conflitti moderni. Più una guerra si dilunga, più problemi essa infligge al Sistema-Paese che la combatte, che tenterà quindi di trovare tecnologie risolutorie che a loro volta cambieranno il modo con cui la guerra è combattuta, creando nuovi problemi.
Non esiste un one-size-fits-all
L’Ucraina e i suoi alleati si trovano oggi proprio di fronte a questo circolo vizioso per quel che riguarda l’offensiva aerea russa. Il ritorno dei bombardamenti sulle città ucraine ha creato un’acuta necessità di sistemi a difesa delle popolazioni civili, che tuttavia rivela anche i limiti di ciò che Unione europea e Nato possono attualmente fornire.
Prendiamo ad esempio i sistemi che dovrebbero essere forniti dall’Italia, lo Spada equipaggiato con missili terra-aria Aspide e il Samp/T italofrancese con missile Aster.
Sono in entrambi i casi sistemi d’arma pensati per difendere obiettivi di terra, che si tratti di infrastrutture o unità da combattimento, intercettando con un missile velivoli e missili nemici in arrivo.
L’utilizzo di questi effettori (come sono chiamati in gergo gli intercettori) è ormai una pratica ben stabilita nel corso dei decenni, ma che pur rimanendo efficace è andata progressivamente a perdere di efficienza di fronte a cieli sempre più affollati di minacce aeree.
La produzione e fornitura di missili è per propria natura relativamente limitata, e la decisione di lanciare l’effettore richiede spesso una fulminea analisi costi-benefici da parte degli operatori. Come spiegato francamente anche dai soldati ucraini in diverse interviste, spesso non vale la pena lanciare un effettore da costi vertiginosi contro droni da poche migliaia di euro.
Non è una questione di taccagneria, ma di gestione razionale delle risorse: anche con tutti gli aiuti del mondo, i depositi (e i budget) ucraini sono limitati, un dato oggettivo che i russi stanno provando a sfruttare saturando le difese aeree ucraine con minacce eterogenee e numerose come razzi, droni, missili da crociera e artiglieria convenzionale.
In questa ottica, conservare un missile Aster per poter un domani intercettare un missile da crociera Kalibr, svariate volte più distruttivo di quello che è in fondo un aeroplanino con una propulsione da motorino, non è una scelta sbagliata.
L’utilità dei Samp/T e degli Spada
Beninteso, questo non vuol dire che la fornitura dei vecchi Spada/Aspide e dei più moderni Samp/T sia sbagliata. Prima di tutto, la scelta di fornire sistemi obsoleti e ormai sostituiti negli arsenali occidentali (come nel caso dello Spada) ha senso non solo in termini di disponibilità, ma anche perché illustra quanto un conflitto contemporaneo vada combattuto con ciò che si definisce un “high-low mix”: tecnologie ipermoderne quando necessarie, ma anche sistemi più obsoleti e convenienti quando possibile.
In secondo luogo, i droni iraniani non sono l’unica minaccia contro i civili ucraini, e il Samp/T sarà fondamentale per difendere infrastrutture critiche da armi più convenzionali.
Piuttosto, sarà importante anche seguire le riflessioni indubbiamente già avviate dal gruppo di Ramstein su come meglio integrare i numerosi sistemi di difesa aerea di cui gli ucraini sono oggi dotati, spesso provenienti da diversi Paesi e non sempre facilmente messi a sistema. La difesa aerea non è solo l’effettore, ma una rete di lanciatori, radar e sensori che resta una sfida perfino per gli stati Nato.
Si pone, inoltre, la questione di come gestire armi con linee logistiche spesso profondamente diverse, creando ulteriori complicazioni a un sistema di rifornimenti già poco lineare. Infine, sarà anche necessario fornire ulteriori sistemi specificatamente anti-drone (come jammer che interrompono le comunicazioni fra drone e operatore) e anti-artiglieria (come cannoncini automatici che abbattono il colpo in arrivo). Tutto ciò rimanendo pronti alla prossima svolta tecnologica che prenderà il conflitto.